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LA NUOVA ERA DELLA CODIFICA: IL LIVELLO INTERMEDIO

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a cura di Gianluca Pisano


Nella prima parte di questo articolo – link qui, ho presentato una proposta di allenamento per principianti, definendoli come coloro che necessitano di creare uno schema motorio nuovo oppure correggerne/resettarne uno già esistente; ho anche suggerito logiche cui attenersi per ottimizzare il risultato evitando di cadere in comuni errori di programmazione.

Per un soggetto intermedio quali sono invece gli approcci ottimali e quali controproducenti da seguire?

Innanzitutto è necessario “identificare” i soggetti appartenenti a questo livello.

Si potrebbe pensare che sia la forza a caratterizzarli come intermedi; che un ragazzo che solleva 150 kg di squat a 80 kg di peso corporeo sia intermedio. Questo però è un metodo di analisi poco corretto.

Errato perché la prestazione è data in misura notevole dalle caratteristiche genetiche individuali, comprendendo in esse l’efficienza muscolare, scheletrica e quella del sistema nervoso centrale.

Potremmo perciò trovare persone che “squattano” 150kg ma che in realtà sono più simili a principianti e che hanno quindi bisogno dell’approccio del mio primo articolo per trarre il massimo giovamento dal proprio protocollo di allenamento.

Ciò che invece è giusto osservare è, in questi casi, il movimento eseguito: un intermedio è colui che ha individuato il gesto tecnico corretto nelle alzate su cui sta lavorando, che ha trovato uno schema motorio “ideale” da ottimizzare e consolidare con carichi massimali.

Se vi riconoscete nella definizione appena data, questo è l’articolo fa per voi; altrimenti il consiglio migliore che posso darvi è: continuate a lavorare su questa ricerca. So che programmi complicati, con percentuali e ripetizioni prestabilite, sono più “eccitanti”; però non è la strada migliore da seguire, almeno in questa fase. La semplicità sta alla base dei risultati: basta capire su cosa bisogna lavorare.

Attenzione anche a non farvi ingannare nella ricerca di una tecnica di base standardizzata e troppo accademica. Spesso vedo persone impegnarsi con tutte le energie nella costruzione di un’alzata tecnicamente ideale che però “non rende”: il gesto tecnicamente migliore è anche quello che vi garantisce, sul lungo periodo, una maggiore efficienza. Per valutare questo aspetto, dovete affidarvi ad un Tecnico esperto oppure allenare il cosi detto “occhio”, diventare voi stessi esperti guardando e riguardando le alzate dei migliori e cercando di capire le peculiarità tecniche che ci sono dietro ad ogni forma di esecuzione.

Penso che una delle problematiche maggiori nell’intermedio sia imparare a mantenere il livello tecnico delle alzate per sfruttarle a percentuali sempre maggiori del carico di allenamento. Un buon test da fare in questa fase è il massimale tecnico, ossia il peso massimo alzato in assenza di compensi.

Con questo dato in mano potrete iniziare a dare un valore alla vostra bravura: più il limite tecnico è lontano dal limite reale e meno saprete di essere bravi. Chiamo questo gap “SCARTO TECNICO”.

Le opzioni di programmazione di questo “stadio” sono molteplici e la scelta dipende da ciò di cui ha bisogno ciascun soggetto secondo le proprie peculiarità tecniche, fisiche e mentali individuali.

Ecco alcune proposte.

METODI A MODULAZIONE DEI TEMPI DELL’ALZATA

Seppur sconsigliabili per i principianti assoluti perché focalizzati su tempi predeterminati dell’alzata, queste metodologie sono ora spesso molto utili per insegnare a tenere la tecnica acquisita in condizione di fatica. Allungare un fermo al petto alla panca piana, aggiungere una pausa di fermo nel punto di massima accosciata allo squat, rallentare le fasi eccentriche e/o concentriche, sono modi per rendere, a parità di kg sollevati, l’alzata più difficile e “far uscire allo scoperto” errori che si presenterebbero con carichi maggiori. Oltre a porre più enfasi e concentrazione su una determinata fase dell’alzata.

RAMPING

Si intendono metodi con carichi ascendenti fino ad un limite tecnico prefissato, ancora una volta sconsigliati per soggetti che caratterialmente tendono a spingersi sempre al massimo e per chi, all’opposto, tende a “tirarsi indietro” evitando situazioni difficili.

Sono invece molto utili in atleti che hanno buon senso pratico ed elevata capacità autovalutativa, sempre in presenza di un Tecnico competente durante l’allenamento.

SCHEMI PIRAMIDALI

Assolutamente da tralasciare se a base larga, ossia con un grosso divario nelle percentuali e nel numero delle ripetizioni  da utilizzate tra il primo e l’ultimo “gradone” della piramide. Per una questione di reclutamento è infatti bene impiegare un carico allenante non troppo vario nel corso della seduta di training.

Estremamente validi se a base stretta, soprattutto in soggetti che peccano di attivazione con carichi elevati.

La mancanza del carico fisso rende il metodo non ottimale se l’obiettivo è la correzione di uno schema motorio poco funzionale.

SCHEMI A CARICO FISSO

Utilizzando pesi corretti, gli schemi a carico fisso restano sempre un’efficace base di allenamento, in questa fase anche con un numero ridotto di ripetizioni. In generale ritengo che per la scelta del carico/volume ottimale si possa fare riferimento a quanto riportato nella tabella di Prilepin (qui sotto nell’immagine), scegliendo i carichi da utilizzare ad un determinato numero di ripetizioni in base allo scarto tecnico predefinito e regolando, di conseguenza, il volume.

Un praticante intermedio poco “efficiente” a carichi elevati potrà avere, ipoteticamente, un massimale tecnico di 100 kg, in confronto ad uno reale di 120 kg: uno scarto considerevole che rende l’80% , 96 kg,  un peso troppo elevato per essere eseguito “tecnicamente”, ad esempio, a 3 ripetizioni. La soluzione che consiglio quindi è quella di diminuire il numero delle ripetizioni o l’entità del carico aumentando però le serie e, di conseguenza, il volume in modo da allenarsi in “tenuta tecnica” dando ugualmente uno stimolo ottimale al sistema muscolo scheletrico.

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Vi ricordiamo che Gianluca Pisano sarà tra i docenti di “Building a Strength Trainer” – 5° Corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme a: Antonio ContentaAmerigo BrunettiAndrea MagnaghiAlessio Ferlito e alDott. Francesco Pelizza.

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IL RUOLO DEGLI ESERCIZI COMPLEMENTARI NELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

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a cura di Alessio Ferlito

In foto: Amerigo Brunetti e Alfredo Tessitore

A seconda della scuola di pensiero di riferimento, il ruolo degli esercizi complementari varia incredibilmente: basti pensare alla scuola americana del West Side, dove i complementari svolgono un ruolo predominante; o alla scuola russa, che pone molta attenzione allo schema motorio, e ancora alla scuola cinese del sollevamento pesi, che utilizza i complementari anche in ottica “bodybuilding” per migliorare la propriocezione degli atleti.

Una cosa è sicura: nella stesura di un programma di allenamento, qualsiasi sia l’obiettivo finale, viene naturale inserire un esercizio base, su cui si vuole migliorare, ed esercizi complementari a questo per riuscire ad ottenere quanti più risultati possibili.

Come scegliere gli esercizi complementari migliori e in base a cosa sceglierli sarà l’argomento della mia lezione al prossimo corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting di primo livello (arrivato alla quinta edizione), ma già da adesso possiamo fare qualche considerazione di massima.

COSA SI INTENDE PER “ESERCIZI COMPLEMENTARI”?

Un esercizio complementare è un esercizio che “comprende elementi del gesto da gara, una sua variante, nonché movimenti essenzialmente simili […] con lo scopo di padroneggiare il movimento primario o per migliorare le qualità fisiche”. La frase appena citata è di L. P. Matveyev, il padre della periodizzazione dell’allenamento, autore di numerosi articoli e del libro “Fundamentals of Sport Training”, testo dal quale ho tratto la citazione.

Esistono moltissime classificazioni degli esercizi di complementari; quella che voglio riportare in questo articolo è quella di Bondarchuk:

  • Esercizi di gara: non credo abbiano bisogno di molte parole, sono gli esercizi che si affronteranno nella competizione;
  • Complementari specifici: replicano il movimento di gara, ne sono una variante o una parte;
  • Esercizi di preparazione specifica: usano la stessa catena cinetica dell’esercizio da gara, ma in modo diverso. I muscoli utilizzati sono gli stessi;
  • Esercizi di preparazione generale: non riguardano strettamente l’esercizio di gara e possono coinvolgere anche altri distretti muscolari.

Prendendo ad esempio la panca piana come esercizio fondamentale troveremo: la board press nel gruppo dei complementari specifici, le parallele tra quelli di preparazione specifica e le trazioni tra quelli del quarto gruppo.

PERCHÈ FARE GLI ESERCIZI COMPLEMENTARI?

Questo credo sia il punto fondamentale. Darò due motivazioni.

Variare è positivo

Il corpo umano si rafforza in base agli stimoli che percepisce, è il principio alla base del SAID (Specific Adaptation to Imposed Demand). Pensate ad un giocatore di tennis: il braccio dominante avrà una densità ossea e una muscolatura maggiore rispetto al braccio non utilizzato. Le tibie di chi pratica muai-thay si irrobustiscono; così fanno muscolatura, tendini e tessuto connettivo di chi si allena con i pesi.

Il tessuto connettivo si dispone lungo le principali linee di forza: questo può provocare, con il passare del tempo, un eccessivo irrigidimento del connettivo stesso e, come conseguenza, la riduzione dell’arco di movimento di un’articolazione.

Metodi di allenamento che vedono un’alta frequenza di esecuzione degli esercizi fondamentali o che prevedono una programmazione incentrata su di essi stressano: non solo a livello fisico ma, soprattutto, a livello mentale.

Un esempio diventato ormai “scolastico”, grazie al mio lavoro di studio sui sollevatori norvegesi, è la programmazione di Carl Yngvar Christensen, atleta di punta della nazionale norvegese di Powerlifting, che svolge le sue 5 “panche settimanali” variando leggermente la presa o introducendo varianti come elastici o catene.

Utilizzare varianti leggere del movimento principale permettere allenamenti con la “testa fresca”, facendo in modo che ogni giorno si vada in palestra con un pensiero diverso dal più demotivante “Anche oggi ho panca!…”, senza però modificare così tanto lo schema motorio da doverne imparare uno nuovo.

Rafforzamento generale

Per definire l’importanza degli esercizi complementari riporterò uno degli esempi più chiari, quello che si trova leggendo “The training of the Weightlifter” di Robert Roman.

Dopo aver analizzato la tecnica dei vari esercizi della pesistica, Roman si dedica alla spiegazione e all’analisi dei metodi allenanti, in particolare focalizzandosi sulla forza e sulla capacità di generarla. In particolare afferma che: “non c’è correlazione tra l’abilità di generare una grande forza e l’abilità di generarla velocemente. Un atleta può avere una grande forza, ma allo stesso tempo può non essere in grado di generarla velocemente.“; e aggiunge: “nel periodo del triathlon (ovvero il periodo precedente al 1970, prima che venisse abolito il press sopra la testa), si potevano spesso vedere atleti molto forti nel press (prima di tutto, un esercizio di forza), ma che non erano in grado di avere alti risultati nello snatch e nel clean&press.”

Facciamo qualche riflessione su questi spunti.

Per prima cosa: durante il periodo del triathlon, leggendo i dati di Roman, i più forti atleti a livello mondiale riuscivano ad eseguire un jerk con una velocità maggiorata di 0.2-0.25 m/s rispetto a quando il press venne eliminato; perciò abbiamo davanti il dato incontrovertibile che un esercizio di “forza generale” avesse effetti più che positivi sulla capacità di generare forza, nonostante quanto affermato sopra, che dovrebbe costituire più un’eccezione che la regola. Inoltre, semplicemente osservando vecchie foto, vediamo che i pesisti del periodo del press aveva una muscolatura molto diversa da quella odierna: erano decisamente più pesanti e muscolosi nell’upper body. Il tempo sotto tensione del press era quindi evidentemente a favore dell’ipertrofia: pur non praticando weightliting, è da notare come i complementari possano contribuire sia all’ipertrofia muscolare che ad una rafforzamento generale.

Il Dottor Yuri Verkhoshansky, intorno agli anni ’60, fu tra i primi ad introdurre il bilanciere nell’allenamento dei saltatori e dei corridori: nel suo “Special Strength Training Manual for coaches” postulò che per migliorare la capacità di generare forza nell’esercizio di competizione, l’esercizio complementare dovesse avere le stesse linee di forza e lo schema motorio quanto più vicino a quello da gara, oltre che coinvolgere lo stesso gruppo di distretti muscolari.

CONCLUSIONI

Non dobbiamo certo soffermarci a questa analisi ed alla classificazione di Bondarchuk, in quanto gli esercizi complementari hanno un ruolo importante anche fuori dal rafforzamento specifico.

Ogni esercizio complementare ha un suo ruolo: tutto dipende dal periodo di condizionamento in cui ci troviamo e, assolutamente, da chi ci troviamo davanti. Gli esercizi complementari hanno moltissime funzioni, come quella di correggere un preciso difetto tecnico o un punto particolarmente carente di un’alzata; sono, in definitiva, “un’arma” importantissima nelle mani degli allenatori che si occupano di training per la forza, certamente da non sottovalutare o relegare “nell’angolo” della preparazione agonistica di un atleta.

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Vi ricordiamo che Alessio Ferlito sarà tra i docenti di “Building a Strength Trainer” – 5° Corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme a: Gianluca PisanoAntonio ContentaAmerigo BrunettiAndrea Magnaghi e al Dott. Francesco Pelizza.

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365 GIORNI DI POWERLIFTING

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a cura di Andrea “Kresh” Gava e Andrea Magnaghi, Team Powerlifting Magenta

Il Team Powerlifting Magenta al completo – © 2013 Chiara Asoli Photography

Dopo ogni salita c’è sempre una discesa, per fortuna!

Il mio esordio, con risultati molto lontani da quelli attuali, è stato durante una gara di Biathlon Atletico nel 2011 al peso di 67,79 Kg: ero riuscito a distendere 111Kg di panca e a correre i 2000mt in meno di 7 minuti. Anche se mi alleno in palestra da più di un decennio, solo negli ultimi 3 anni mi sono messo davvero in gioco. Da quel lontano punto di partenza sono cresciuto, sia di peso corporeo che di peso sollevato: meta dopo meta, mi avvicinavo al mio traguardo finale…

Nel grafico: l’andamento della prestazione alla Panca piana (in rosso)
in rapporto al peso corporeo dell’atleta (in blu)

Quando ormai il 2012 stava volgendo al termine e dopo aver partecipato a varie competizioni di panca mi sentivo un “navigato”, uno con una certa esperienza. Potevo ritenermi soddisfatto per i miei 30 anni.

Una sera, mentre “pellegrinavo” tra vari forum giunsi sul sito della FIPL: fui immediatamente attirato dalla sezione dei video e iniziai a scaricare gran parte del materiale disponibile. Rimasi molto colpito dell’ambiente di gara, dalle performance degli atleti e da quel fermo al petto, che mi parve da subito un grosso ostacolo. Volevo saperne di più: volevo capire come si poteva arrivare a quel livello. Collegamenti, ricerche, chat e di lì a poco avrei fatto l’ingresso nella mia squadra di powerlifting.

Sapevo di avere molto lavoro da fare, ma non vedevo l’ora di cominciare, come un bambino che riceve un nuovo giocattolo. Lo ricordo come se fosse ieri: mi sono presentato alla squadra con i miei 140kg di panca e mi sentivo un figo!

Ecco il video del 06 ottobre 2012: 140 Kg di panca raw (senza attrezzatura tecnica da powerlifting, N.d.T.):

A questo punto lascio che a parlare sia il mio coach: Andrea Magnaghi.

Quando ho visto Andrea Gava per la prima volta è stato nella palestra di Magenta, in occasione di un test per una gara di panca al di fuori del circuito nazionale FIPL: la prima cosa evidente nel guardarlo fu notare una “muscolarità” a dir poco promettente.

La seconda cosa evidente fu una panca, di fatto, inguardabile: veramente indecente!
Già dal riscaldamento, con carichi davvero modesti, la panca piana di Andrea non aveva il controllo e la solidità necessaria per affrontare carichi soddisfacenti e realmente impegnativi.

Il bilanciere, con il susseguirsi delle ripetizioni, seguiva traiettorie sempre differenti e inadeguate; le spalle, il posizionamento dei gomiti e persino il set up sulla panca erano particolari tecnici affidati alla pura casualità, come del resto le sensazioni sotto carico erano altamente falsate dall’assetto improduttivo di Andrea.

Tutta l’attenzione era focalizzata sulla “muscolarità” e sul chiudere la ripetizione ad ogni costo.

Mi colpì molto sentir parlare di 80% di 1RM, riferendosi ad un’ alzata la cui velocità era pressappoco la stessa del massimale!

Quel giorno chiuse con un record personale di 140 kg raw (l’alzata nel video, N.d.T.) senza fermo al petto: la mia personale valutazione di quella prova fu che, dopo aver spremuto al massimo ogni compenso possibile ed immaginabile, quel carico rappresentava una barriera dalla quale difficilmente avrebbe potuto staccarsi.

In pratica Andrea era arrivato in un vicolo ceco, spingendo e continuando a spingere pesi limite a caso: con queste premesse non avrebbe potuto avere alcun significativo aumento prestazionale nel suo prossimo futuro. Punto. Insomma: il classico ragazzo “forte” di 30 anni, un po’ “arrivato” con i pesi, visibilmente stressato dai sovraccarichi, con poca dinamica e con alzate sempre di limite.

Andrea mi disse che avrebbe voluto partecipare alle gare della FIPL – Federazione Italiana PowerLifting con la mia squadra, il Team Powerlifting Magenta, chiedendo la mia disponibilità ad allenarlo.

Con suo grande stupore risposi che per formare un atleta nelle sue condizioni portandolo a fare delle prestazioni di livello accettabili e costruendo (a 30 anni suonati) dei risultati importanti a lungo termine, l’unica strada sarebbe stata RICOSTRUIRE DA CAPO IL MOVIMENTO!

Non è stato facile convincerlo a ricostruire qualcosa in cui si sentiva già forte.

Non è stato facile perchè la barriera più grande in questi casi è l’ego, che eleva una vera e propria barriera mentale: malgrado un forte desiderio di crescita atletica, usare pesi “facili” e “veloci” senza arrivare al limite di ogni seduta, a lui sembrava come non essersi allenati del tutto.

Dopo averlo convinto a ricominciare da capo, abbandonando per un po’ le gare di panca, abbiamo dato al corpo modo di adattarsi al nuovo setup e di interiorizzare il movimento.

Nel primo test CON fermo il risultato scese drasticamente (in realtà il gap è assolutamente nella norma): 127,5 Kg, con ovvi contraccolpi emotivi!

In questa fase spesso, a sorpresa, ricevevo video di massimali non programmati, sporadici malumori e dubbi legati a questo stranissimo concetto: non pensare al carico sollevato, ma a sollevare nel modo migliore in ogni alzata.

Pian piano però le sensazioni diventavano quelle giuste e i Kg sul bilanciere sono ritornati a salire!

In questo periodo di “pit stop” alla panca piana, abbiamo spostato il focus agonistico sulle altre alzate del powerlifting (Squat e Stacco da terra, N.d.T.), nelle quali, a sua memoria, Andrea aveva dei risultati davvero modesti rispetto al suo potenziale, certamente figli di un allenamento troppo rarefatto e poco attento al completo sviluppo del sistema.

È stata l’occasione di avvicinarci, lentamente, alla vera essenza del powerlifting: le competizioni complete. Squat, Panca piana e Stacco da terra in un unica sessione.

Squat e Stacco da terra, seppur grezzi, non si avvicinavano affatto al limite fisico raggiunto nella panca piana e, pur essendoci dei difetti di impostazione, il problema principale fu creare un feeling con il movimento e mettere letteralmente “nei binari” la spinta, imparando ad esercitare la forza nel modo corretto.

Passarono mesi: grazie all’ausilio di programmazioni molto semplici e tonnellate di Kg sollevati a percentuali basse del massimale, siamo riusciti a costruire una base solida da cui partire.

Questo il periodo in cui sono nate alcune discussioni del tipo: “Come posso puntare a 200 kg di stacco da terra se lavoro al massimo con 150 kg?”; ebbene, a volte il segreto sta tutto qui!

La sua prima gara è stata il 2° Trofeo raw di Stacco da terra FIPL 2013: dopo 3 mesi di lavoro intenso, al peso di 77,9 Kg, Andrea riuscì a portare a casa il suo obbiettivo, passando da un massimale di 160 Kg ad un personal record di 200 Kg!

Finalmente, in questo stesso periodo, Andrea riuscì a capire che per costruire un’alzata di successo è necessario lavorare alla base, sulla base, per la base!

Alla Coppa Italia FIPL di Powerlifting, sua seconda gara questa volta completa, nell’ottobre 2013, ancora una volta con programmazioni tutt’altro che complesse, tonnellaggi alti e percentuali “maneggiabili” abbiamo raggiunto un altro suo obbiettivo: 600 Kg di totale sulle tre alzate (Squat/Panca/Stacco) in assetto “geared” ossia con attrezzatura da powerlifting, “lasciando” comunque un po’ di Kg sparsi in giro.

Dulcis in fundo, dopo un anno di duro lavoro, lo scorso dicembre, al 3° Trofeo FIPL di Panca raw Andrea ha disteso 145 Kg alla Panca piana con fermo al petto, con un controllo e una dinamicità ottimi, coronamento di un eccezionale preparazione durata dodici mesi.

Da 127 Kg sollevati in palestra a 145 Kg in pedana, con di fronte tre arbitri nazionali: un abisso!

Ovviamente anche la struttura muscolare ha giovato parecchio di questo incremento dei carichi: Andrea ha sviluppato un fisico davvero eccezionale, con addominali da “fighetto di Ibiza” e braccia da “panchista d’élite”.

Per quanto mi riguarda, è stato un piacere ed un onore allenare un atleta di questa caratura nel 2013 appena trascorso: tanto più perchè sono sicuro che il duro lavoro svolto regalerà ad entrambi soddisfazioni fuori dal comuni nel 2014 che ci attende, tutto da costruire!

Concludo con il video della magistrale prestazione di Andrea: 145 Kg di Panca raw, sollevati il 14 dicembre 2013 in un contesto esclusivo qual’è la pedana di gara FIPL:

Solo adesso mi sento di poter dire che il powerlifting mi ha salvato; in tutta sincerità avrei potuto continuare per la mia strada ma: quali miglioramenti avrei potuto ottenere?

Forse la cosa più probabile sarebbe stata un calo drastico della passione verso un lavoro senza sbocchi e senza un reale impegno tecnico e mentale o, molto peggio, un’infortunio.

La mia “trasformazione” è durata circa 1 anno; 365 giorni durante i quali mi sono ripettuto spessimo: “Ma chi me lo ha fatto fare? Perché un ragazzo, che già è “il più forte della palestra” dovrebbe ricostruire interamente un gesto così semplice e basilare come la Panca piana?”

La risposta, che solo adesso mi posso dare, è molto semplice: perché mi piace! Perché mi diverto!

Oggi passo 4 giorni alla settimana, per circa 3 ore della mia vita, in palestra. Con la mia fedele telecamera riprendo i miei allenamenti e li riguardo subito dopo. Cerco i difetti per limare le imperfezioni e quando posso, il sabato, vado ad allenarmi con la mia squadra (50 Km tra andata e ritorno), per concentrarmi sulle piccole sfumature che soltanto l’occhio esperto del mio allenatore può notare.

Mi piacerebbe essere la testimonianza vivente che al di là dell’età, del lavoro e degli impegni, tutti possono migliorare ed elevare i propri traguardi.

Certo il merito non è tutto mio: ho avuto la fortuna di trovare una squadra, per me alla base di tutto. Credo che il vero segreto per far progredire ognuno sia inserirlo in un insieme, come recita il motto impresso sulle nostre magliette: “Fare pesi è uno sport di squadra!”.

Dopo un anno di allenamenti cosa rimane? Ci sono stati momenti belli e altri meno: tutti abbiamo faticato e alla fine ci restano i risultati e l’incredibile bagaglio tecnico ottenuto.

E ora?

Ho spostato il mio traguardo un po’ più in là…

Piccola parentesi finale dedicata agli atleti agonisti: se leggete le classifiche FIPL del Trofeo di Panca raw degli scorsi 2 anni, noterete come le prestazioni dei primi dieci classificati si siano notevolmente innalzate, in particolare dalla quinta posizione in su l’aumento medio è stato di circa 20 Kg…

Se non volete rimanere indietro il consiglio è: cominciate fin da adesso a lavorare sodo!

Vi ricordiamo che Andrea Magnaghi sarà tra i docenti di “Building a Strength Trainer” – 5° Corso Base FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme a: Gianluca PisanoAntonio ContentaAmerigo BrunettiAlessio Ferlito e al Dott. Francesco Pelizza.

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LO SQUAT, LA FORZA MASSIMALE E LA LINEA: SOPRATTUTTO LA LINEA!

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a cura di Ado Gruzza

Partiamo dalla base. Anzi: ripartiamo dalla base. Ci sono concetti che crediamo siano scontati: invece, tanto più nelle realtà poco disciplinate come i Social network (che per inciso hanno fatto un gran bene alla diffusione della cultura alta dell’allenamento), non lo sono affatto.

Possiamo usare diverse terminologie, però, in buona sostanza, l’allenamento della forza si divide in due macro categorie:
a) GENERALE – In pratica: il lavoro sulla forza massimale. Aumentare la capacità di generare contrazioni di altissimo livello.
b) SPECIALE – Quelle esercitazioni che hanno tempi e modalità (soprattutto tempi) simili al gesto di gara.

Pensiamo ad un lanciatore (o gettatore) del peso: forza generale = esercizi per arti o tronco. Forza speciale: lanci con attrezzi leggermente appesantiti o lanci di attrezzi di diversa natura.
Qualcuno inserisce in questo contesto anche lavori pliometrici, sprint speciali e tutta una serie di drills atti al miglioramento della capacità di contrazione in tempi simili a quelli di gara.

Non ho mai pensato una sola volta nella mia vita che a un atleta serva solo la forza massimale; non ho mai creduto, nemmeno per un solo secondo, che nella preparazione di atleti di qualunque sport sia sufficiente il lavoro di forza generale o massimale. Queste sono semplificazioni e chi ha letto anche solo la metà di un mio articolo, ed abbia una capacità cognitiva sufficiente a cogliere le sfumature, sa benissimo quanto io odi le semplificazioni.

La forza serve e tanto: a qualunque atleta, a qualunque soggetto. Un preparatore del rugby, mio amico, poco tempo fa mi parlò di un concetto che credo, in tutta onestà, di non aver colto a pieno e che “profuma” di intelligenza: la distinzione della forza in diverse categorie è un concetto antiquato (e qua lo seguo forte e chiaro) e non solo; anche le abilità coordinative sono una tipologia di sviluppo della forza.

Ok: concetto complesso, da rogo delle streghe in certi ambienti. Di questo vi resti che la forza è fondamentale in ogni ambito dell’essere umano in relazione allo spazio ed allo spostamento, tanto più negli sport.
Però non sfugga che l’allenamento della forza è tanto più utile quanto l’atleta ha EFFETTIVAMENTE bisogno di forza.
Ti serve più forza? Se la risposta è sì, indipendentemente dallo sport che pratichi, devi elaborare un protocollo ottimale (assolutamente aspecifico) che ti permetta di migliorare la forza, appunto, senza fare danni! Senza stressare il sistema in generale, effetto secondario tipico della metodologia classica.
Il lavoro di forza speciale è un’altra cosa.
Oggi ragazzi qualunque in salute hanno risultati che anni addietro avrebbero richiesto, come minimo, qualche bel ciclo di farmaci anabolizzanti per essere pareggiati.  Il livello medio si è alzato a dismisura: il mondo della forza è cambiato semplicemente perché è cambiato il mondo. La metodologia dell’allenamento della forza si è modificata così tanto anche perché era quella che meno di tutte, nel nostro Paese, godeva di rispetto ed attenzione. Non è difficile asserire che in Italia manchi una cultura di allenamento della forza massimale.

In una bellissima “lecture” presso un’ Università Americana, il dottor Arbeit disse: “Potete fare quello che vi pare, però senza un lavoro di forza massimale (o generale, o aspecifica) non migliorerete neppure la forza speciale”. Ecco: questo vale, ovviamente, anche per lo squat.

Partendo dal presupposto che per anni sono state utilizzate, in moltissimi ambiti, metodologie che hanno avuto dell’incredibile!

SQUAT, IL MENO COMPRESO DI TUTTI.

Io non ho ancora capito, effettivamente, come si fa lo squat. Non ho ancora trovato la linea perfetta, la chiave di lettura perfetta. La sto cercando. Ogni settimana cambio qualcosa nella maniera in cui insegno. Ogni settimana mi confronto con i miei errori, con le incalcolabili varianti che ogni soggetto porta con sé.
Non potete nemmeno immaginare quale sia il mio livello di dedizione, di attenzione, di ricerca della “giusta visione”: ci lavoro come un pazzo. Non sono “arrivato” neanche per sogno; però, come scritto nei foglietti dei Baci Perugina: “L’amore per il percorso rende la strada così magica”.
Non l’ho ancora capito però vedo che mediamente chi parla di squat non ne ha, addirittura, la più pallida idea.

Se non hai questo percorso, come fai a cogliere quella mole immane di sfumature che sono poi determinanti per capire, anche solo minimamente, l’alzata?
Senza contare che “vedere una alzata” è una dote genetica esattamente come l’essere veloci o essere alti.

Dire che non esiste una sola maniera di fare squat è un’affermazione sia vera che completamente falsa.

Da quando abbiamo cercato di codificare questa alzata, analizzandone traiettorie e possibili approcci didattici, abbiamo visto come buona parte degli appassionati si sia inevitabilmente avvicinata a questa maniera di allenare i sovraccarichi.
Semplicemente perché ha dimostrato di funzionare e presenta una logica molto aderente a quella che oggi sembra essere la realtà. Insomma: quella più vicina al meglio di ciò che oggi conosciamo. Arriverà, prima o poi, un “ragazzino” che scriverà una nuova pagina tecnica magari in grado di rivoluzionare tutto, dalla testa ai piedi. Arriverà senza dubbio: perché questa è la storia di ogni attività umana.
Se analizzate un lanciatore del disco d’élite con una tecnica scarsa ed uno con una tecnica eccelsa (ricordo a questo proposito il video postato su Facebook dall’atleta lanciatore Antonio Gardelli qualche settimana fa), quello scarso avrà discontinuità e variazioni rispetto a quello eccelso che saranno spesso visibili a velocità normali solo a tecnici esperti e traiettorie che si discostano tra loro di millimetri. Non centimetri: millimetri!

Con Paolo “Ironpaolo” Evangelista, molto più estremista (in senso buono) nella realtà di quello che può apparire dal modo in cui scrive, commentando le analisi di un preparatore, ci trovammo a riflettere su come nell’allenamento con i pesi, spesso, venga considerata un individualismo o una peculiarità tecnica una traiettoria dell’attrezzo che si discosta da un’altra di 5 o 10 cm da quella ottimale. Roba da matti!

Per anni si è fatto lo squat “come veniva comodo” o come si era insegnato per misericordia tramandata. Non sempre si è stati in grado, mentalmente, di sviluppare le proprie esperienze attraverso le nuove competenze tecniche. Piuttosto si sono trovate risposte facili che però, a mio modo di vedere, non hanno sufficiente forza per stare in piedi.

A volte, di fronte all’impossibilità di rapportarsi gli uni con gli altri o alla diversa esperienza fatta, la chiave di lettura è stata:
“Sì, Io faccio squat per migliorare il salto”
“Sì, ma io faccio squat per lo sci”
“Sì, ma io faccio squat a gambe strette per stimolare i quadricipiti”
“Sì, ma io faccio squat a gambe large per aumentare la velocità”
“Sì, ma io faccio squat per migliorare il salto del fosso”…

Ok, basta. Usiamo la testa, per una volta!

Vero, esistono tanti modi di fare squat: frontale, high bar, a gambe larghe, strette, Zercher (no, quello no, non lo considero nemmeno a pagamento!), a braccia alte, eccetera eccetera.
Però c’è solo uno squat valido: quello che ti permette di generare l linea di forza ottimale!
FINE DEL CAPITOLO. Non giustificatemi con fini astrusi uno squat che fa schifo. Se “sculate”, rimbalzate o semplicemente generate piccoli compensi per uscire dagli Sticking Point (che non tutti sono in grado di vedere), beh quello squat, che sia a gambe strette, larghe, depilate o fatte con i tacchi a spillo rubati a vostra madre, semplicemente, non è buono: non è cioè ottimale al fine di migliorare la capacità di generare alti livelli di tensione.

Perché fate squat? Per migliorare la forza, giusto? Allora perché farlo in maniera non ottimale?

DIDATTICA

Ci sono tecniche per imparare a generare ottime linee di forza per chi non ha le leve di Oleg Perepetchenov. Queste sono quelle che i nostri tecnici Federali FIPL insegnano, ognuno con la propria logica individuale. Se hai le leve di Oleg, non perdere tempo: tieni i piedi piuttosto stretti, scendi e stai più dritto che puoi. Tutto fatto.
Se non sei Oleg, facendo così non ci “cavi fuori” nulla. Poi, in realtà, lo stesso Perepetchenov, oltre alla innata struttura, ha lavorato fin da ragazzino per costruire una massa muscolare così efficiente e prorompente, e fatto stretching dalla stessa età per costruire avere un controllo motorio ottimale e una mobilità articolare quasi perfetta.

Ci sono metodologie di approccio allo squat che sono semplicemente più efficaci per apprendere il gesto e mettere nel cassetto tutte le cattive abitudini motorie sviluppate negli anni. Ecco: queste sono le modalità didattiche. Sulle quali, in Italia (lo dico senza imbarazzo e con cognizione di causa) siamo (in FIPL) ad altissimi livelli in ambito internazionale. Nessuna Federazione Internazionale di Powerlifting, tanto per dire, ha un corso Istruttori delle dimensioni numeriche di quello Italiano e che sia, almeno nell’edizione Base, aperto a tutti. La didattica è strutturata per venire incontro alle esigenze anche dei semplici appassionati, quelli non nati per fare Pesistica o Powerlifting e questo ci è stato riconosciuto anche in ambito internazionale.

Alla fine quello che conta, per me e penso per chiunque si alleni con un minimo di “grano salis”, è sempre il risultato.  Arrivateci come volete, con la didattica che più vi aggrada: però arrivateci! Se il risultato è uno pessimo, anche con 200 Kg, sempre pessimo sarà.
Ecco la Evstyukina:, passata, a mio giudizio, da una didattica sullo squat non ideale. Lo noto da alcuni particolari. Però il risultato è una linea di forza decisa e puntuale:

Come dire, ha ragione lei. Tra l’altro ci sono altri video in cui “maltratta” 200 Kg. Ragazzi: è una donna, nemmeno tanto male tra l’altro…

Avete trovato questa linea? Perfetto. Non l’avete trovata? Allora ci sono tante cose da cambiare. E, da quello che vedo introno a me ogni giorno, la seconda ipotesi è tremendamente più probabile della prima.

Inoltre l’analisi di questi concetti è molto più interessante a livello di preparazione atletica rispetto al Powerlifting agonistico puro nel quale, tutto sommato, vediamo ancora soggetti “tirare” ottimi carichi con tecniche davvero mediocri. Anche se più si va su soggetti natural e più questa percentuali cala drasticamente.

Per chiudere: la tecnica dello squat non deve dipendere da che sport fate: ma dalle leve e dal tipo di attivazione dell’atleta.

STOP!

Perché la forza deve sempre essere sviluppata in maniera aspecifica.
So che ancora buona parte del mondo della preparazione atletica usa metodologie legate al “Faccio mezzo squat perché salto così!” o a qualunque altra forma di specificità del sovraccarico, sebbene sia contro quello che recenti moderne analisi dimostrano e, a mio parere, al puro buon senso.

Il punto è che ci sono tantissimi bravi preparatori con i quali, avendo più tempo libero, pagherei (letteralmente) per aver un confronto e dai quali avrei, senza dubbio, molte cose da imparare. Molte: e lo dico con la massima convinzione. Molte cose: però non come fare squat. Lo squat lo si impara dai tecnici. Per imparare a sollevare pesi vado da Dietmar Wolf: non da un tecnico che si occupa di pallavolo, unicamente perché ha troppo poca esperienza in materia. Addirittura l’esperienza è così specifica da essere perfino legata al livello: Boris Sheyko, fantastico durante il suo seminario tecnico nella nostra palestra di Parma con i migliori atleti della nostra squadra, era quasi impacciato con i principianti e gli amatori presenti.

Allo stesso modo non ho l’ambizione di voler insegnare ad un maestro di ginnastica su come lavorare sulla mobilità e il corpo libero. Ho delle idee: però non vorrei mai imporle.

Se mi confrontassi con Carlo Buzzichelli o un velocista agonista su come correre più veloce, questo confronto non farebbe crescere nessuno degli interlocutori, semplicemente perché io avrei solo idee semplicistiche in materia. Potrei avere 175 di QI e in ogni caso sparerei delle gran corbellerie. Per capire in profondità un evento devi viverlo in profondo. Però chi “ha fatto due pesi in gioventù” ha sempre quella profonda e radicata sicurezza in se’ di poter essere un interlocutore assoluto, malgrado sia meno preparato sui pesi di quanto io lo sia sul salto con l’asta.

Uno storico casaro ultra settantenne di Parma pochi giorni fa mi disse, nella sua semplicità, una frase che mi ha colpito molto e che la dice lunghissima su cosa sia la passione e la competenza.  Mi ha detto (testuali parole): “Mi a morirò sensa saver c’me s’fa al formaj”; questa piccola perla racchiude in sé tutto il ragionamento fatto fin qui.

Ciò che ci muove verso il “cuore” della conoscenza è la passione, il desiderio profondo, radicato, quasi violento, direi, di capire cosa c’è dentro un evento tutto sommato normale: che sia una semplice accosciata con bilanciere sulle spalle o fare un formaggio che alla fine, si fa da mille anni.

Io non ho un atleta in palestra che esegua lo sqaut alla stessa maniera dell’altro, sebbene siano tutti powerlifter o bodybuilder: chi “squatta” a bilanciere alto, chi basso; chi guardando in alto, chi in basso; chi iperestende la schiena altrimenti è spacciato, chi può permettersi di “perderla” un po’ durante l’alzata; chi “squatta” stretto e verticale, chi largo e più orizzontale. Tutti diversi però, bene o male, tutti comunque “in spinta”, perché è l’unica cosa che mi interessa.

Mettete in vostri atleti “in spinta” e vi dirò che fate uno squat fantastico. Non fatelo e, alla meglio, non dirò niente per non essere scortese.

Nota non necessaria: i più fini avranno notato come chi lavora nel Powerlifting attrezzato tendenzialmente svilupperà linee migliori; il discorso è lungo e complesso però vale la pena sottolineare che l’attrezzatura di supporto non ti solleva il bilanciere, ma al massimo ti struttura una linea di spinta ottimale. In questo video il concetto è ben evidente:

Costringendoti a linee ottimali, inevitabilmente te le insegna.

Di segurio una lista, estrapolata da Youtube, di squat molto diversi tra loro eppure tutti molto efficaci.

Ilya Ilin:

Al minuto 1.10 un atleta cinese, categoria 56 Kg:

Lu Xiaojun con una fantastica linea di spinta:

Altri due atleti di élite della scuola cinese:

Aita:

Re Konovalov:

Perepetchenov, recordman nello slancio:

Salimi:

Overhead squat:

Dabaya, un front squat classico:

Come avrete notato gli alteti cinesi, maniaci della tecnica, “squattano” sempre di più in maniera simile a come da anni cerco di proporre: indipendentemente dall’altezza del bilanciere, massimo controllo in basso e tenuta totale. Niente ATTG (Ass To The Grass, “sedere a terra” in gergo) o visioni particolaristiche. Così come il frontale di Ilyn.

Alla fine, sebbene sia un incorreggibile chiacchierone alle cene in compagnia, per me contano i risultati.
Il lavoro qualitativo ha elevato all’ennesima potenza, a livello nazionale, i risultati di persone originariamente non predisposte allo strength training, portando alcune di queste a livelli “top” elevatissimi. Numeri alla mano.

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Vi ricordiamo che Ado Gruzza sarà tra i docenti di “Building a Strength Expert” - 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting insieme al Dott. Federico Fontana, al Dott. Fausto Caruana e, direttamente dagli USA, due ospiti di eccezione: per la prima volta in Italia con AIF il coach JOHN BROZ, il “mitico” allenatore Americano che ha formato le sue conoscenze al fianco di Antonio Krastev e con la scuola di Ivan AbadjievMIKE TUSHCHERER, che presenterà in ESCLUSIVA italiana il suo innovativo approccio didattico, il Reactive Training Systems (RTS).

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INSIDE BODYBUILDING: LA SOTTILE LINEA RETTA – PARTE 1

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a cura di Amerigo Brunetti

Foto archivio FIPL: ©2014 FIPL – Federazione Italiana Powerlifting

Che la panca piana sia il miglior costruttore della parte alta del corpo – a patto che sia eseguita a regola d’arte – è un dato di fatto per ogni preparatore top-level.

E chiunque reputerebbe banale osservare come i grandi performer dello squat godano di uno sviluppo del quadricipite davvero invidiabile, nettamente superiore se paragonati a chi si dedica assiduamente a esercizi di isolamento.
È infatti impossibile incontrare un culturista che abbia avuto decisi incrementi muscolari solo con cavi, cavetti e macchine.

Ma perché la panca piana e non una chest press? Le croci…? Perché accosciarsi con un bilanciere sulle spalle piuttosto che eseguire unicamente contrazioni alla leg extension quando vogliamo aggiungere centimetri al giro-coscia? In entrambi i casi il muscolo lo lavoro, ma i risultati non sono minimamente comparabili.
Non c’è grande schiena che non abbia visto rematori pesanti, né grande stacchista carente di lombari.

La netta superiorità dei grandi multiarticolari è dovuta unicamente al fatto che attivano stabilizzatori e reclutano un numero maggiore di distretti muscolari, oppure c’è dell’altro?
Se l’ipotesi del picco ormonale in seguito all’allenamento è stata smentita in via definitiva, il comprendere appieno la VERA motivazione per cui questi grandi esercizi siano così efficaci nell’incremento di massa ci dà chiare indicazioni sul comportamento da tenere in palestra.

SQUAT, PANCA E STACCO
Sono i tre movimenti – a eccezione delle complicatissime alzate olimpiche – in assoluto più studiati, parametrati e maniacalmente osservati, gesti ripetuti milioni di volte da tantissimi atleti sparsi in tutto il mondo con l’obbiettivo di essere il più efficienti possibile, di sollevare il carico più grosso.

Utilizzati per incrementare le prestazioni, la forza massimale, il tessuto muscolare. Le logiche derivate dalle conoscenze quasi centenarie della pesistica hanno permesso negli ultimi anni di CODIFICARE queste alzate. E’ stato possibile determinare un’esecuzione ideale: oggi, 2014, posso dire quando il movimento è corretto, quando è massimamente efficiente e quando no. In base a dati oggettivi.

Abbiamo un vantaggio assoluto verso chi ha trattato il mondo dei pesi negli ultimi 30 anni. Lasciare questi indizi per strada sarebbe da stolti.

Prendiamo i tratti comuni. Analizziamo.
Quali i fattori che ci mostrano la correttezza dell’alzata? Cosa rende migliore una ripetizione rispetto a un’altra se il carico mosso nel tragitto A-B è lo stesso?

TRAIETTORIA E VETTORI

“Devi essere in spinta” - A.G.

Un mantra ormai dilagante, la chiave per un’alzata massimamente produttiva.
Sono “in spinta” quando ogni muscolo chiamato in causa ha due possibilità: contribuisce direttamente al movimento o è stabilizzatore. Non esistono distretti muscolari che si oppongono come parassiti al movimento del bilanciere.
Sono “in spinta” quando le forze del mio corpo convogliano in un vettore unico, fisso dall’inizio alla fine.
Ogni rotazione e spostamento dei miei segmenti corporei genera movimento effettivo del bilanciere o serve a tenere una postura ottimale.
Sono “in spinta” quando tutto quello che faccio da quando stacco il bilanciere ha come unico obbiettivo quello di generare forza secondo una LINEA RETTA.

Lo stacco classico è indiscutibilmente l’esercizio più tassante a livello nervoso: la perdita della curva lombare (che accade inevitabilmente sopra certi carichi) destabilizza il corpo, che è chiamato a spingere in direzioni sempre diverse durante il movimento. Un gran casino! I pochi che lo eseguono produttivamente sono coloro che mantengono fissa la curva, dando la possibilità al corpo di imprimere forza secondo UNA SOLA direzione.
Stessa cosa se prendiamo in esame lo Squat. L’errore più comune è sempre lo stesso: schiena poco stabile, vertebre che perdono l’assetto fisiologico, corpo che non sa più in che direzione spingere e gambe completamente disattivate.
Quindi, regola n°1: definire una linea di spinta e mantenerla coerente da inzio a fine ripetizione.

IL CORPO UMANO NON È IN GRADO DI GENERARE ALTE TENSIONI SE IL VETTORE FORZA RISULTANTE CAMBIA DIREZIONE DURANTE IL MOVIMENTO.
LA REGOLA ASSOLUTA PER UN EFFICACE STIMOLO MECCANICO RISULTA QUINDI ESSERE UNA TRAIETTORIA RETTILINEA, QUALSIASI SIA L’ESERCIZIO CHE STIAMO SVOLGENDO.

Questo è un concetto che prescinde dal contesto in cui è nato e vale in OGNI ambito della palestra, da chi fa preparazione atletica nel rugby al natural bodybuilder.
È ciò che ha reso fino ad oggi le tre alzate fondamentali così efficaci nello sviluppare massa magra: rispetto del corpo nel suo fisiologico funzionamento!

RETTA VS CURVA
Un corretto stimolo meccanico passa unicamente da una traiettoria rettilinea anche per un discorso di velocità: se compio un arco di cerchio, di certo non posso avere una velocità ottimale e costante a causa di una variazione continua di percezione del peso sulla mano e perdita di equilibrio del bilanciere. Inoltre – fondamentale! – l’inerzia del peso deve essere continuamente vinta, essendo il carico accelerato in direzioni sempre differenti.

Tracciando un arco di cerchio non permetto un movimento razionale del bilanciere. Il corpo è adatto a svolgere lavori che richiedono grande impegno, sforzi pesanti, ma solo a patto che non cambi il piano di lavoro durante il movimento. Ogni modifica della direzione verso cui spingo è fortemente destabilizzante per il sistema.

Quando ci raccontano che il migliore esercizio per i bicipiti è il classico curl bilanciere in piedi, piuttosto che l’alternato manubri seduto su panca, ci stanno raccontando una favola.
Cambiamento di velocità e attivazione possono essere riscontrate se lo eseguiamo nel modo tradizionale: l’esercizio stesso non consente di mantenere velocità costanti, a patto di non usare pesi ridicolmente bassi. La direzione di spinta varia cm dopo cm.
Il curl è un movimento intrinsecamente fuori spinta.
L’evoluzione dell’uomo non ha mai contemplato un ripetersi sistematico e ritmico di gesti circolari ad alta intensità: il corpo non è efficiente a livello neuro-muscolare nel portarli a termine.
Il discorso non riguarda però il solo curl, ma tutti gli esercizi.

INTEGRARE ANZICHÉ ISOLARE
Non è il nuovo slogan di un movimento di ultrasinistra: se dobbiamo attenerci a una traiettoria rettilinea, è fondamentale uscire dall’ottica “isolo il tricipite”, perché altrimenti a muovere l’attrezzo non sarà l’idea di spingere in una sola direzione, ma la contrazione selettiva di un particolare distretto. Il corpo non funziona così!
I neuro scienziati convengono infatti su come il cervello non ragioni per muscoli ma per azioni, gesti; il vero trucco – la vera difficoltà – non è tagliare fuori i muscoli agonisti per “sentire più lavoro sul pettorale”, ma trovare esercizi e direzioni di spinta che pongano l’enfasi sul distretto bersaglio. Reclutare all’unisono, quindi.

Le carenze di sviluppo muscolare hanno SEMPRE, SEMPRE, SEMPRE alle spalle una problematica motoria.
Cosa allena il muscolo se non un movimento? La fata turchina?
Se avete un gruppo meno sviluppato, con tutta probabilità è perché non siete in grado di creare tensione internamente e ai suoi capi. Forse lo state isolando troppo. Fate una prova: siete capaci di percepire un intenso lavoro muscolare anche a basse ripetizioni negli esercizi che riguardano il vostro gruppo carente? (Conosco già la risposta…) Avete ora le carte per capire la direzione verso cui andare!

Se l’isolamento è essenziale nell’ESTETICA del bodybuilder, non si può dire lo stesso se vogliamo ottenere uno stimolo meccanico adeguato e una crescita di reale massa muscolare.
Quando ci si sposta sul metabolico, sulle alte ripetizioni e sull’accumulo di lattato, si ha carta bianca con i monoarticolari e con traiettorie che si discostano da quella ottimale.
A nessuno ha mai nuociuto un curl con completa flessione ed estensione del braccio, le croci manubri piuttosto che uno stripping alla leg extiension, a patto che il carico sia esiguo e l’obbiettivo dell’esercizio sia puramente di rifinitura estetica.

IL CHEATING NON È CHEATING
Avete mai notato come molti PRO bodybuilders siano così inclini al cheating?

La traduzione letterale vuole che questo termine equivalga a “barare”, ingannare. Tuttavia è un comportamento più che sensato, se ben fatto. Mentre è stupido imbrogliare sé stessi e il proprio ego con carichi ingestibili, farlo con la gravità e alcune percezioni corporee può essere una carta vincente.
Istintivo comportamento atto a migliorare l’attivazione muscolare, uno strumento di assoluto vantaggio per chi pratica la cultura fisica, il cheating permette di ottenere sensazioni simili a quelle date da una traiettoria retta anche compiendo movimenti parzialmente curvilinei. Se ben fatto, consente di concentrarsi nella spinta in UNA SOLA DIREZIONE; UN SOLO MOVIMENTO.
Raccogliete un masso da terra e cercate di sistemarlo a un’altezza pari al collo.
Movimento di curl o utilizzo di uno slancio che coinvolge più distretti?
Lo stress meccanico non può prescindere da queste osservazioni.

Pensiamo anche a questo. Il leg drive (spinta con le gambe) durante un push press o un jerk vi consente di attivarvi in un’unica direzione: quella verticale rispetto al pavimento, cosa non possibile nel caso di un lento avanti in piedi.
Anche questo è cheating!

RIPETIZIONI PARZIALI
Altro stratagemma per assicurare una spinta verso un’unica direzione.
Accorcio il movimento: riesco a rimanere in tensione e spinta costanti anche in esercizi la cui esecuzione canonica non mi permetterebbe una totale efficacia di stimolo sul muscolo.
Spesso si vede allenare le spalle con movimenti parziali sopra la testa: difficile trovare un bodybuilder che esegue il lento avanti in full R.O.M. Molto più probabile vedergli compiere pochi cm di spostamento. Ecco, in quei pochi gradi di movimento – fateci caso – la traiettoria tende a essere una linea retta!

Le regole essenziali per un massimo stimolo meccanico e una crescita concreta sul lungo periodo risultano quindi essere:

  • la coerenza verso UN’UNICA DIREZIONE DI SPINTA;
  • il mantenimento di una traiettoria RETTILINEA;
  • l’allontanarsi da gesti di isolamento e ricerca di movimenti più congeniali all’uomo, la cui esecuzione preveda la completa attivazione neuromuscolare.

Ok, ma… quindi per creare uno stress meccanico al bicipite quali sono gli esercizi più indicati? Quali strategie posso utilizzare per ottenere una traiettoria rettilinea nel push down al cavo?
Nella seconda parte dell’articolo avremo modo di analizzare attentamente i vari movimenti.
Intanto guardatevi allo specchio: durante la lat machine la sbarra cambia direzione? Durante il pulley ho dei su-e-giù non previsti?


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

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Vi ricordiamo che domenica 13 Aprile 2014 a NAPOLI,  presso l’AVION FITNESS CENTER, Viale delle Mimose, 14 e domenica 04 Maggio 2014 a MILANO, presso il Box REEBOK CROSSFIT BICOCCA – Via Talete, 9 Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza saranno i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo TESSITORE (per la data di Napoli) e Gabriele SAVANT e Davide GIANNICO (per la data di Milano) per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilding.

Troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

32° CAMPIONATO ITALIANO ASSOLUTO DI POWERLIFTING

INSIDE BODYBUILDING: IL MIGLIOR PRINCIPIANTE È IL POWERLIFTER

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a cura di Amerigo Brunetti


Nel mondo della cultura fisica, la diatriba su quale sia il miglior approccio da consigliare a colui che si affaccia per la prima volta nella realtà della palestra è aperta. Spesso mi rendo conto di ragionare puramente in termini di “top di gamma” o “élite”. Ma è voluto: sono fermamente convinto che tu, allenatore, un atleta vincente lo devi coltivare fin da giovane, cercando di inculcargli quei principi e fargli apprendere quelle abilità che si porterà dietro tutta la vita. Agonistica e non.

Anche se non ci interessano le gare, non possiamo prescindere da quelle conoscenze che ci vengono da chi regolarmente si esibisce su un palco.
Nello stesso modo in cui le Olimpiadi insegnano e danno l’imprinting agli allenatori di tutto il mondo per i quattro anni successivi, l’attingere dal Natural BB agonistico ci permette di alzare drasticamente il nostro livello, se questo viene fatto con dovuti accorgimenti e rivisitazioni soggettive.

Se punti a essere un mediocre o prendi la cultura fisica come un passatempo marginale, quanto è scritto in questo articolo non ti interessa.

Spesso, troppo spesso, sento tirare fuori la questione mente-muscolo in maniera del tutto inopportuna, di solito da gente che non ha il background per fare certe affermazioni. Le situazioni dove viene considerato questo legame sono di natura opposta: circostanze in cui il livello è estremamente basso oppure estremamente elevato. Ne parlano i principianti o i super avanzati.

Inutile dire che nel primo caso la ricerca del legame cervello-bicipite è non solo insensata,  ma controproducente: se passiamo i primi 3 mesi a fare eseguire il curl concentrato ad un novizio, chiedendogli altrimenti se “sente le spalle” nel press in piedi, stiamo buttando via del tempo.

Gli atleti d’élite non hanno cercato il legame mente-muscolo dal primo giorno di palestra, l’hanno trovato durante il percorso.

La cosa che più di tutte serve al principiante è l’apprendimento del concetto di tensione. Generare tensione. Concetto che non scorderà più se siamo bravi a radicarglielo nel DNA. Una volta che forgi il sistema nervoso a tenere il tronco compatto e rilassato allo stesso tempo, a sparare impulsi ad altissimo voltaggio con le articolazioni in totale sicurezza… non te lo dimentichi! E’ come andare in bici.

Quindi, prima cosa: bisogna che il soggetto capisca cosa vuol dire “essere in spinta”. Questo può essere fatto unicamente con i grandi esercizi multiarticolari.  DAL SINGOLO AL TUTTO.

Il novizio si sottoallena lavorando ad alto buffer, senza avvicinarsi al cedimento? Certo che sì. Ma, sapete, ho sempre preferito sottoallenare un allievo per 6 mesi (e poi vederlo letteralmente lievitare quando capisce come spingere) piuttosto che dargli il contentino iniziale facendolo rimanere in stallo per il resto della sua attività. In più, non vi è hardgainer che possa rimanere tale dopo un oculato approccio distribuito e ad alta frequenza. Spesso sono hardgainer perché li hanno convinti con le parole: non riesco a farti migliorare, è colpa della tua genetica. E via, me ne lavo le mani, tanto sei sfigato.

Sarò fortunato, ma io non ho mai incontrato gente classificabile come tale.
Certo, su alcuni soggetti il lavoro è durissimo e costa ANNI di dedizione assoluta, ma ciò non toglie che il potenziale rimanga inespresso finché lo stimolo non è totalmente appropriato.

Vedo tutti i giorni con i miei occhi che coloro in grado di generare grandi tensioni in frazioni di secondo hanno la facoltà di imparare qualsiasi cosa che riguardi il mondo dei sovraccarichi, e con velocità strabiliante.
Vedo gente che fa (quasi) solo squat, panca e stacco con braccia da 42.5cm. Bicipiti allenati marginalmente e per non più di quindici minuti a settimana.
Questo perché? Il lavoro svolto sui grandi esercizi permette una capacità di gestione superiore del proprio corpo. Non è certo lo squat a far ingrandire le braccia, ma grazie alla capacità di lavoro e reclutamento acquisite è possibile spremere ogni singola fibra in quei pochi minuti che si dedicano al loro allenamento. Quindici minuti – se si ha il totale controllo del proprio corpo – sufficienti ad assicurare uno stimolo ipertrofico di rilievo.

Pochi giorni fa mi chiama Riccardo Rollo (2° posto Camp. Italiani e Coppa Italia Powerlifting, cat -93kg) per chiedermi un suggerimento su come tenere attiva e muscolata la catena cinetica posteriore in un periodo di recupero da uno scomodo infortunio. Niente esercizi pesanti, niente che coinvolga il quadricipite.
Sono rimasto impressionato dalla capacità che ha nel gestire il proprio corpo: al leg curl in piedi – esercizio di isolamento puro che probabilmente non aveva neanche mai visto fare! – reclutava le fibre poste esattamente dove gli suggerivo di concentrare l’attenzione.
“Concentrica molto lenta, contrazione, piccola discesa, seconda contrazione, eccentrica controllata ma veloce”. Non c’è stato bisogno di ripeterlo: dinamica perfetta! Ha capito esattamente dove volevo creasse tensione: semitendinoso, semimembranoso. Il bicipite femorale quasi non esisteva.
Dinamica perfetta, scollegato i cavi agli altri muscoli. Non esiste nient’altro fuorché la zampa d’oca.
Credetemi, sono rimasto senza parole: collaboro con molti natural BB di alto livello ma pochi sarebbero capaci di un tale reclutamento selettivo e “a comando”.  DAL TUTTO AL SINGOLO.

Preciso, il BB è molto altro. MOLTO ALTRO. Soprattutto quello agonistico. Lo scrivo perché vedo già l’insurrezione di orde inferocite scagliarsi contro “quelli che fanno PL”, dicendo pensate al vostro che alla cultura fisica ci pensiamo noi.

Nessuno sano di mente consiglierebbe mai di “fare massa” coi programmi di Sheyko o con una astrusa programmazione norvegese.
Non voglio scadere in uno slogan stile americano dove in copertina ti mettono il tipo superfisicato con un sorriso smagliante (che peraltro mi potrebbe assomigliare…), ma per isolare il singolo devi saper coinvolgere il tutto!

Dubitate di chi vi dice che ha ottenuto ottimi risultati (in termini di ipertrofia) senza dedicarsi al miglioramento della propria forza.
Se sono analfabeta, c’è il caso che impari grossolanamente l’Italiano anche leggendo Topolino. Però poi non vado di certo in giro a dire che sfogliare i fumetti sia educativo in senso assoluto nell’apprendere una lingua: migliorare 5 in una scala da 1 a 1000 non è poi un gran risultato…
Fino ad un certo punto vale un po’ tutto: è quando sale il livello che si vede l’efficacia del metodo!
Guardiamoci in giro: dove sono tutti i natural-grossi-e-tirati con bassi livelli di forza? Semplicemente, non esistono.
(Se ne trovassimo uno, sarebbe più unico che raro…)
Se sei davvero forte e sai gestirti sotto carichi ingenti, hai già fatto metà della strada. Altrimenti, devi ricercare come prima cosa quelle qualità necessarie per maneggiare grossi pesi con destrezza e fluidità.

Nel caso in cui dovessi scegliere una categoria da cui attingere per coltivare un’ideale top team di natural bodybuilders, sarebbe certamente quella dei pesisti.
Pesisti da modificare negli allenamenti, nell’alimentazione, nel volume di lavoro, nella frequenza – o forse no? – ma il punto di partenza è quanto di meglio si possa sperare.
Hanno a che fare coi bilancieri per buona parte dell’allenamento e possiedono capacità di attivazione uniche.

“Vedo bodybuilders con scarpe da squat, cintura da powerlifting e calli aperti sulle mani. Vedo il livello successivo della cultura fisica Natural.”

Il sistema nervoso va educato. Deve rispondere ai nostri comandi.

NON è possibile farlo con soli cavi e cavetti, salve rarissime eccezioni in cui la natura ha premiato l’atleta con propriocezione di prim’ordine e connessioni neurali così fini da fare invidia al più maniaco degli ingegneri elettronici. Ma stiamo parlando di gente che avrebbe sfondato in qualsiasi sport in cui la padronanza del corpo è una qualità fondamentale.
NON è possibile insegnare al SNC a sparare con una certa intensità se non coi grandi esercizi base, in cui l’articolazione è messa in totale sicurezza e i muscoli da gestire sono varie decine.
Gestione, controllo, equilibrio con 250 kg sulla schiena: queste le qualità che vanno apprese.

Il corpo è pieno di recettori che ci forniscono continuamente informazioni sulla stabilità/tenuta dei tessuti anche non contrattili, delle giunture. Mai capitato di aver male alla spalla (dal classicissimo capo lungo ci siamo passati tutti, dai…), e accorgersi di non essere in grado di imprimere forza al bilanciere, quasi ci avessero abbassato il voltaggio alla centralina? Non il dolore, è proprio un’ incapacità di generare tensione.  “Spalla non in sicurezza? Caro mio, guarisci e torna qui che poi ne parliamo”, ci dice il sistema nervoso. Ed è così anche se non abbiamo subito infortuni. Il corpo sente una zona instabile… e ci ripaga con minori tensioni generate.

Lo si vede nella panca: assetto classico che comunemente incontriamo, con spalle anteposte = sono arrivato al mio limite genetico! Più di così mi sembra impossibile! Un vero black-out quando arrivo ai carichi importanti. Mi sento impedito nello spingere.
Poi, adduco e deprimo le scapole, e…puff! Il bilanciere schizza via. C’è anche un discorso di leva più vantaggiosa, certo, ma ricordatevi che il corpo si accorge di molte più cose rispetto a quanto percepiamo coscientemente.

Agli appassionati dei metodi intensi e infrequenti vorrei proporre uno spunto di riflessione: siamo proprio sicuri che il cedimento muscolare sia dovuto unicamente a componenti metaboliche locali, all’accumulo di lattato e di altri sottoprodotti della contrazione muscolare? Dobbiamo capire cose vuol dire esaurimento. Non potrebbe avere anche a che fare con la conduzione del segnale, partendo direttamente dalla centralina nel cuore del motore?
Perché iniziamo a tremare con tutto il corpo alla 25esima ripetizione di curl con bicipiti, classico esempio dell’isolamento di un solo distretto? Non è forse per un tilt completo nella conduzione del segnale? Corto circuito elettrico.
Spesso puntiamo il dito contro il singolo distretto muscolare – o la singola fibra! – ma non dimentichiamoci che il sistema nervoso ha una centralina, più o meno allenata a generare impulsi ordinati.

Meglio avete educato il vostro SNC maggiore sarà il limite oltre al quale vi potete spingere.
Allenate il sistema nervoso a rispondere ai vostri comandi SEMPRE E COMUNQUE: l’asticella del cedimento si sposterà sempre più avanti.
Relegate questo lavoro a una piccola parte della stagione, ma fatelo!

Vogliamo rimanere indietro scopiazzando le schede di Dorian Yates o stiamo al passo con i tempi?
Una vecchia e stupida credenza vuole che cultura fisica e Strenght Training siano due mondi totalmente separati, senza possibilità di scambio di opinioni, senza alcun fattore comune. Senza interazione.
Il culturista Natural non ha margine di errore, a differenza dei suoi cugini praticoni: deve sfruttare ogni conoscenza disponibile, attingendo da tutte le realtà in cui l’aumento di massa magra sia un fattore primario.
La pesistica olimpica e la trasduzione delle sue logiche al Powerlifting ci offrono oggi una carta in più per raggiungere il VERO limite nello sviluppo muscolare.

Non fermiamoci ai pregiudizi e prendiamo spunto da quello che si è capito in tutti gli altri sport.

“I pregiudizi, è ben noto, sono più difficili da sradicare dal cuore il cui terreno non è mai stato dissodato o fertilizzato dall’istruzione; essi crescono là, fermi come erbacce tra le rocce.” C.B.


Immagine di sfondo © 2013 Luca Anzalone Photography: www.anzaloneluca.it

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Vi ricordiamo che domenica 13 Aprile 2014 a NAPOLI,  presso l’AVION FITNESS CENTER, Viale delle Mimose, 14 e domenica 04 Maggio 2014 a MILANO, presso il Box REEBOK CROSSFIT BICOCCA – Via Talete, 9 Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza saranno i relatori del seminario “IPERTROFIA 2.0 – Analisi scientifiche ed evoluzioni pratiche dei processi ipertrofici nella moderna visione del Natural Bodybuilding” insieme ad Alfredo TESSITORE (per la data di Napoli) e Gabriele SAVANT e Davide GIANNICO (per la data di Milano) per parlare di Metodologia, Pianificazione e Periodizzazione dell’Allenamento finalizzato all’ipertrofia muscolare nel Natural Bodybuilding.

Troverete tutti i dettagli qui.

 

Note sull’autore

Amerigo Brunetti - Campione Nord Italia e Vicecampione Italiano 2010 Musclemania. Attualmente studente in Ingegneria Meccanica e Preparatore di Natural Bodybuilding.

NON SAPETE CHI È MIKE TUCHSCHERER?!…

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A cura di Ado Gruzza e Massimiliano Buccioni



Beh, che non sappiate farne lo spelling, credo sia perdonabile. Sono stato un paio di volte a cena con lui e famiglia, ci siamo allenati assieme (parola grossa eh, lui è di un altro che dico pianeta, sistema solare) eppure, ancora, per scrivere questo articolo, cercando di non sbagliare l’ordine alfabetico, ho dovuto controllare sulla sua pagina di Facebook. Per noi latini è davvero una sequenza impronunciabile. Infatti sul telefono l’ho registrato con lo spelling sbagliato: Tushcherer o qualcosa di simile.

Siamo seri: non tutti sanno che Mike è uno dei punti di riferimento MONDIALE dell’allenamento del powerlifting. Leggevo giorni fa un testo di Dan John in cui si utilizzava il suo metodo di valutazione RPE come fosse il modello universalmente accettato. Certo l’RPE non l’ha inventato lui, però l’ha utilizzato lui in maniera estensiva e sviluppandolo attorno ad un modello. Da quel momento, moltissimi hanno abbandonato le % di carico in favore di questa nuova maniera di ‘valutare’ l’entità del carico.

Mike innanzi tutto è un powerlifter di livello mondiale. Ha appena fatto queste alzate:

all’Arnold Classic in un contesto IPF. Cosa fondamentale (il contesto) per determinarne l’effettivo valore. Sfrutto l’occasione per ribadire a chi non è molto avvezzo al mondo del powerlifting agonistico, che se non sono fatti in contesto di federazione internazionale (IPF appunto) i risultati che vedete su Youtube, potrebbero non essere esattamente attendibili. Usando un eufemismo. Come si dice spesso: “Mio cugino fa i 100 metri in 8 secondi. Però non fa i mondiali, perché gli stanno sulle palle quelli della IAAF”. Si: poi vola, anche.

Per chi non fosse pratico con le libbre sono: 335 di squat, 210 di panca piana, e 371 kg di stacco da terra. Tutto RAW.

L’estate scorsa venne a trovarci a Parma, cogliendo l’occasione per visitare il centro città. Mi ricordo che andammo a mangiare in un ristorantino all’aperto, in una piazzetta molto centrale della città, con un compagnia assurdamente mista, si andava da bambini di 2 anni a sfegatati di powerlifting fino a gente che non sapeva la differenza tra un manubrio e un bilanciere.

Ricordo che nel pomeriggio fece un allenamento tipicamente RTS.
Un morbido riscaldamento, poi caricati 290 kg sullo stacco da terra. Ogni alzata monitorata con un apparecchio che ne misura la velocità assoluta e media. Poi, vi spiegherà meglio lui di persona.
Dicevamo 290 kg x 4 ripetizioni. Porca put….!
Senza cintura.
Riposo di quasi 10 minuti.

305 kg x 4 ripetizioni. Sempre senza cintura. Sempre imprecazioni.

Riposo di quasi 10 minuti.

Io mi sarei già fermato a 290 kg, buoni ma pesanti. Pensai, se aumenta il peso, diventa una mattanza dell’ermellino. Invece i 305 sono uguali ai 290 kg. Un trattore che sale in prima. Impressionante.

Ancora 330 kg x 4 ripetizioni. Sempre senza cinta. Leggermente più sofferti, però, non certo come ci potremmo aspettare.
A quel punto, in inglese mi esce una cosa che avevo, strutturato nella mia testa in dialetto misto parmigiano reggiano e cioè: “I think, today, at this time of the day, there are not a lot of people that have done the same effort you did right now, with the same weight”.
In dialetto suonava terribilmente meglio.

Poi due serie di ritorno, così, tanto per gradire 290 kg x 4 x 2 serie. E poi un paio di serie di panca presa stretta. Fine dell’allenamento.

Poca densità, pochissimi esercizi, direbbero quelli che ne sanno: poca massa. Infatti Mike è un colosso di 120 kg senza la minima pancia, con il core più strutturato che abbia mai visto in vita mia.

Ok, grande atleta. Però non solo quello. Di grandi atleti ce ne sono diversi (in realtà di questo livello pochi) in circolazione. Il punto è che Mike è un opinion leader nel mondo del bilanciere. Il suo approccio insolitamente frequente e anticonvenzionale è stato un macigno nel mondo ingessato del powerlifting americano. Al punto di condizionarne in maniera indelebile tutta la new wave filosofica.

Mike ha fatto un passo in più, ha posto nuove problematiche nel mondo del powerlifting, in qualche modo mutandone faccia, per sempre. Da una parte abbiamo i grandi tecnici russi e norvegesi, che dicono poco e hanno approcci strutturati. Dall’altra? Dall’altra parte abbiamo un mondo molto più bravo a comunicare ma a volte poco propenso all’analisi e al ragionamento fine. Mike si è messo in mezzo a queste realtà, con il suo approccio metodico e vagamente meditativo, e fin da giovanissimo ha iniziato a mettere sul campo idee, metodologie, progetti e valutazioni, fino a creare il suo Reactive Training System che senza alcun dubbio è una delle realtà più importanti, a livello mondiale, nel mondo del powerlifting e della forza.

Potrei dire senza troppo timore di smentita, che in ambito powerlifting, escludendo gli approcci dei tecnici, che non pubblicano i loro allenamenti e non hanno blog sul web, sia l’approccio più interessante che esista sul powerlifting, e specifico per questo. .

Sono tantissimi i motivi per cui credo che questo approccio farà innamorare il pubblico italiano. La semplicità di comprensione e allo stesso tempo la ricercatezza dei contenuti sono una delle caratteristiche che ha reso grande tanta scuola di sollevamento dell’est, che in Italia ha tanto successo. Credo che l’approccio di Mike sia un giusto ibrido europeo americano.

Abbiamo la fortuna di avere l’esperienza diretta di Massimiliano Boccioni, docente AIF e atleta nazionale, che per 8 mesi si è allenato seguendo le metodiche di Mike e direttamente seguito da lui. Ecco qual’è stata la sua esperienza:

“Cari lettori di AIF, è difficile narrare in poche righe un’esperienza di allenamento così significativa. Quello che spero è di suscitare in voi curiosità e voglia di approfondire l’argomento, perché è davvero interessante. Come scrive Ado, siamo di fronte ad uno straordinario atleta che ha saputo tradurre il suo enorme talento in strumenti utili a tutti. L’analisi e la sintesi che propone per approcciare il tema della forza sono forse quanto di più avanzato esiste sul “mercato” occidentale dei vari portali. Ora, non vi aspettate una descrizione minuziosa del sistema RTS, non si può fare in questo contesto. Dovete ascoltare Mike, approfondire e soprattutto, allenarvi con i paradigmi dell’RTS. Voglio però lasciarvi alcuni spunti di riflessione su ciò che ha costituito la mia esperienza.

Primo: “la liberazione dalla nevrosi della percentuale” La stragrande maggioranza dei metodi prevede la descrizione della programmazione in serie e ripetizioni a una data percentuale del carico massimo. Bene, questo ha i vantaggi ovvi di un linguaggio intellegibile a tutti, con però uno svantaggio intrinseco. Se in un dato giorno non siete al top, il che è normalissimo, e fate un 4×4 al 70%, la percentuale effettiva che state somministrando al vostro sistema-corpo è come minimo superiore.

Basta questo per dire che seguire una metodologia in maniera maniacale non è molto di più che lenire i vostri sensi di colpa in merito all’aver fatto il compitino. Alla lunga ciò non paga. Analogamente si può parlare del gear. Fatto 100% il max di squat attrezzato, cosa vuol dire fare 4 doppie all’80%? La risposta è ovvia, ma è probabile che chiunque esegua le doppie con costume lento e bretelle giù. Ancora una volta la percentuale effettiva può essere diversa da quella teorica. E non di poco! Ebbene, nessuno tra i trainer “tradizionali”, neanche i top player, sa dare una risposta a questa obiezione. In genere si considera solo il carico nel suo senso estrinseco, assoluto. Aperta e chiusa parentesi: solo questa piccola cosa basta per far riflettere su quanto siamo fortunati in Italia, certe cose almeno in nuce grazie ad alcuni “visionari” le sappiamo da un po’…

Il powerlifting moderno ci pone in un contesto complesso di gestione del carico, sia nel raw che nel geared. Mike T lo affronta in maniera intrinseca: il carico si valuta con ciò che si percepisce attraverso una serie di osservazioni distinte, fino a comporre una visione unitaria. A tal proposito mi torna alla mente una cosa che mi ha detto un allenatore di recente: “I need results, not feeling”. Questa apparente critica indiretta ma radicale al metodo RTS, allo sforzo percepito, si risolve facilmente con una cosa sola: la pratica. Quando il vostro feeling sarà affidabile, beh, l’ascolto della propria reazione, sotto l’occhio vigile di coach, produrrà solo risultati positivi. Posso dirvi che ho impiegato circa 6 mesi per maturare una percezione affidabile dei carichi, più legata ai fattori davvero cogenti. Qualche settimana serve a poco o nulla.

Secondo: “il tramonto del Superman che è in noi” Lo so, suona anche questo un po’ slogan, ma aspettate. Quante volte avete visto un vostro amico, o voi stessi, andare in palestra, pensare “oggi faccio 5 colpi con 140 kg di panca” e il risultato è stato una ripetizione decente, una stiracchiata e tre con 70 kg perché gli altri 70 li faceva di stacco a gambe tese il vostro spotter? Ah dimenticavo, naturalmente senza fermo al petto. Beh, tutto questo, se prendete un minimo sul serio i paradigmi dell’RTS e li usate, si scioglierà come neve al sole. Credo di non aver sentito nessuno insistere sulla qualità più di Ado. Ebbene, proprio l’RTS vi darà una percezione realistica del vostro potenziale, sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Quando darete il voto vero allo sforzo che avete appena fatto, non cadrete più nell’errore di sentirvi Superman, e di converso, non avrete più paura di prendere in mano la criptonite e essere debolissimi, perché di fatto non esiste. Ad una data seduta di allenamento farete le vostre tripe qualitative, spingendo fino al carico che vi consentirà di tenere un certo buffer e un assetto tecnico corretto. Qualcuno sente risuonare il MAV. Sì e no, ci sono analogie, ma anche sostanziali differenze. Il prossimo convegno sarà l’occasione per porre a Mike le domande corrispondenti.

Terzo: “il picco di forma, questo sconosciuto” Non tutti hanno la fortuna di avere lo sguardo di un allenatore bravo addosso. Per cui si tribola molto ad azzeccare il picco di forma per una gara, ma anche solo per un test. Come si pone l’RTS? Attenti, l’RTS crede molto all’intensità. L’intensità è ciò che determina gli effetti dell’allenamento. Il volume determina la “magnitude” degli effetti. Questo concetto è chiave e dovete capirlo bene dalla viva voce di Mike. Ma ha un risvolto pericoloso. La soggettività di ogni atleta per il raggiungimento del picco di forma farà sì che ognuno dovrà utilizzare un approccio al tapering differente, perché non ce ne sarà uno confezionato e blindato come, ad esempio, nei metodi del guru di Ufa (Sheiko, NdT). Ci sono indicazioni di massima, ma sarà la maturità con cui si gestiscono i vari parametri che farà la differenza. Alcuni infatti molto neurali arrivano pesanti fin quasi sotto gara. Cosa a mio modo di vedere rarissima e pericolosa. Altri necessiteranno di un tempo congruo per recuperare tutte le forze e arrivare in pedana freschi di mente e di corpo. Insomma, un altro aspetto da capire bene, che se però si riesce a mettere in pratica con un certo grado di arte, produrrà sicuri effetti.

Concludo per evitare di cadere nella logorrea. L’RTS vi stupirà per l’immediatezza dei suoi concetti ma anche per la complessità del loro articolarsi insieme. È l’approccio all’allenamento della forza più marcatamente artistico che conosco, cioè un connubio di arte, nel senso di “tecnica”, la capacità di produrre un risultato con delle tecniche empiriche, e scienza, nel senso di osservazione sperimentale dei fenomeni. Insomma: concetti, non pre-concetti, osservazione, non pregiudizio. Lasciamo stare le tabelle di carico indicative, la fatica come percezione per regolare il volume, gli split settimanali, la forte propensione alla multifrequenza ecc ecc tutte cose che ascolterete al convegno, dal vivo, dalla voce di Mike, vedrete che sarà per ognuno di voi una piccola grande rivoluzione e ne sarà valsa davvero la pena.”

Vi ricordiamo che Mike Tushcherer sarà presente in ESCLUSIVA per l’AIF domenica 06 aprile in qualità di docente a “Building a Strength Expert” – 2° Corso Avanzato FIPL per Istruttori di Powerlifting .

Quota di iscrizione alla sola giornata di lezione tenuta da Mike Tushcherer:

> € 130,00;
> Trainer FIPL (di tutti i livelli) SCONTO 15%€ 110,00.

Ricordiamo a tutti gli interessati che il pagamento dovrà essere effettuato ESCLUSIVAMENTE a mezzo Bonifico Bancario Anticipato alle seguenti Coordinate Bancarie:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

NON VERRANNO ACCETTATE iscrizioni sul posto e in contanti.

Dopo aver effettuato il versamento preghiamo gli iscritti di inviare una mail:

  • avente ad oggetto “ISCRIZIONE AL WORKSHOP DI MIKE TUSHCHERER
  • contenente i proprio dati anagrafici: Nome /Cognome/Luogo e Data di nascita
  • recante in allegato copia Pdf o Jpg della ricevuta di pagamento in proprio possesso

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Per maggiori informazioni cliccare qui


WELCOME TO THE POWERLIFTS

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© 2014: foto by Luca Anzalone Photography – grafica by Valerio Treviso

Clicca sull’immagine per scaricare la locandina in formato Pdf

 

RELATORIGianluca PISANO e Alessio FERLITO

QUANDO: Domenica 8 Giugno 2014

DOVE: OVADA (AL)Centro VITAL CLUBStrada Novi, 4a

Come arrivare: Autostrada A26, Casello Ovada. Visualizza la mappa: clicca qui

EVENTO FACEBOOK: per partecipare clicca qui

 

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

 

09.30/10.00 – ACCREDITAMENTO

10:00/11:00 – Gianluca Pisano: le Powerlifts nella preparazione atletica; applicazione e uso della Alzate di Potenza nella preparazione atletica. Analisi di piani di lavoro e loro applicazioni sul campo.

11:00/12:00 – Alessio Ferlito: dalla pedana allo Strength Training; analisi dei moderni metodi di allenamento della forza: dal Fitness al Functional Training passando per il Crossfit.

12:00/13:00 – Gianluca Pisano e Alessio Ferlito: analisi dei metodi di autoregolazione. Il MAV: il metodo che ha reso famoso il “Metodo Distribuito” in Italia e le sue evoluzioni nel corso degli ultimi 4 anni.

13.00/ 14.00 – PAUSA PRANZO

14:00/17:00 – Applicazione PRATICA, con i presenti, dei metodi esposti durante il workshop.

 

COSTO:

—> euro 90,00 – pagamento a mezzo Bonifico Bancario anticipato alle seguenti coordinate:

CASSA PADANA BCC - Filiale Taneto Di Gattatico
cc intestato a A.S.D. ACCADEMIA ITALIANA DELLA FORZA
IBAN: IT35 B083 4066 3400 0000 0096 860

—> euro 110,00 – pagamento in contanti sul posto

Termine per le iscrizioni via BONIFICO: 5 Giugno

 

Dopo aver effettuato il versamento inviare via mail:

  1. copia Pdf o Jpg della ricevuta in proprio possesso
  2. dati anagrafici dell’iscritto – Nome e Cognome, Comune di residenza, indirizzo E-mail

al seguente indirizzo: iscrizioni@accademiaitalianaforza.it

Oggetto: “Iscrizione al seminario WELCOME TO THE POWERLIFTS”.

ON 146 – IL PUNTO D’INCONTRO

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Clicca sull’immagine per aprire l’anteprima di solo lettura in formato Pdf (NON scaricabile)

a cura di Amerigo Brunetti

Chi può tollerare un volume di lavoro con carichi importanti, mediamente tra l’80% e il 90% del massimale, per otto serie di stacco con fermo sotto e sopra il ginocchio – svolte il giorno dopo aver attaccato tutta la schiena? A chi possono mai giovare?

La risposta è chiara: a un atleta tecnicamente ben impostato, cosciente di quello che deve fare ma che ha grosse difficoltà nell’attivare appieno certe aree. Certo non un principiante. Per gestire certe percentuali di carico senza mandare all’aria lo schema motorio è richiesto un certo controllo e la capacità di stare decontratti quando il peso è importante.

Ho iniziato ad accorgermi di questa cosa quando ancora utilizzava carichi modesti, e in esercizi di isolamento. Se il target era quindici ripetizioni, le prime dieci erano controllate, perfette. Veloci quando necessario. Poi, nel giro di una-due ripetizioni: black-out. Totale. Senza preavviso. Cedimento assoluto.

L’abitudine a tollerare acido lattico e alti tempi sotto tensione non ha risolto la questione: le ripetizioni eseguite correttamente diventavano dodici, tredici massimo. Ma poi stessa cosa: da “esercizio perfetto e avvertito come leggero, massima concentrazione”  a  “non ce la faccio più, il manubrio si ferma di botto”…

Continua su Olympian’s News n° 146 (Maggio/Giugno 2014)

Acquista la tua copia in edicola oppure online cliccando qui

NOVITÀ: da oggi anche in formato elettronico ”Read and Go” a SOLO 2,00 € - Olympian’s News con Iron Man: 196 pagine piene zeppe di informazioni su alimentazione, integratori, allenamento con i pesi per uomini e donne. Acquista la tua copia ORA: clicca qui

FROM MYLAND CROSSFIT TO RIMINI WELLNESS

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a cura di Ado Gruzza


Nelle immagini: i partecipanti alle FIPL Certification 2014 – ©2014 Federazione Italiana PowerLifting

 

Eccoci qui!
Sabato 19 aprile è finito, con l’esame del gruppo Avanzato, il Corso Istruttori FIPL 2014.

Cosa devo dire? Che quest’anno è stato un successo superiore ad ogni aspettativa? Sa di retorica? Boh, può darsi, però tanti, così tanti messaggi di soddisfazione (anche da gente che è stata rimandata, per altro) non li avevo mai visti.

La storia dei nostri Corsi è stata una storia favolosa. Nata quasi per scherzo, nel 2010 pensando che sarebbero passati di lì massimo una decina di appassionati. Dopo 4 anni e 5 corsi ci siamo visti passare davanti una cifra non distante ai 500 iscritti. Dei quali pochissimi Powerlifters agonisti. Onestamente ho perso i conti.

Partita per scherzo, ed ora è il metro di misura dell’allenamento della forza in Italia. Spero di non infastidire nessuno dicendo semplicemente la verità.

Quest’anno, dicevo, mi è sembrato di gran lunga il migliore di tutti. Di tutta la nostra storia. Di gran lunga!
Non perché conviene dire che l’ultimo acquisto sia sempre il più conveniente. No!
C’è un motivo ben preciso. Anzi, più di uno.
Il primo ed indiscutibilmente il più importante è stato frutto di una decisione che, malgrado le apparenze, mi è costata molta poca fatica.

Ho deciso di lasciare il Corso Base interamente in mano ai giovani tecnici FIPL.
Visto che giovane lo sono anche io (anche se i miei sabati sera potrebbero non farmi apparire di questa categoria) il fatto nuovo è che questo corso è stato lasciato in mano ai giovani tecnici FIPL che si sono formati a partire dalla “new wave” nata in seno ai Corsi FIPL.

Un gruppo di under 30 che ha fatto davvero un figurone. Che ha dimostrato di “esserci” e di essere un interlocutore vero e presente.

L’ho detto e lo ripeto: il plusvalore di del “Base” di quest’anno sono stati loro. Partendo da quanto costruito negli anni passati hanno saputo rielaborare e fare MEGLIO di chi li ha preceduti.
Hanno saputo cogliere chiavi di lettura che io, in tutta onestà, non avrei saputo cogliere.  Lezioni così dense di contenuti, votate verso una comprensione base (in senso di basilare e non in senso dispregiativo) riordinando tutte quelle cose che io, spesso, davo per scontato. E caspita (scrivo caspita ma penso altre parole, che non scrivo tanto Valerio Treviso, in sordina, mi censura) scontate non lo sono per nulla!

Un grande applauso ad Antonio Contenta (S.S. Lazio Powerlifting) e Gianluca Pisano (Powerlifting Genova) che si sono presi carico della parte teorica su Squat, Panca piana e Stacco da terra.
Dalla fisiologia e biomeccanica all’approccio sensato sul campo alla luce di questi anni di esperienza. Davvero il grosso della faccenda.
Con lezioni DAVVERO MAGISTRALI. Il massimo livello possibile ed immaginabile. Competenza, conoscenza del mezzo, spirito di analisi, ed esperienza diretta con atleti ed appassionati. Complimenti. Una grande vittoria per voi, una più grande vittoria per me e per la FIPL che ha scommesso (non era difficile per la verità) su di voi.

La forza trascinante di Andrea Magnaghi (Powerlifting Magenta), che ha trattato in diverse occasioni l’argomento della preparazione di chi si approccia in prima battuta al Powerlifting e all’allenamento della forza. Mettiamo in campo il buonsenso? Come avvicinarsi al Powerlifting? Cosa è sensato fare per ottenere risultati costanti e crescenti?
Come dobbiamo leggere ed interpretare un piano di allenamento, nel breve e nel medio lungo periodo?
Ecco, questo poteva essere il sottotitolo dei sui interventi. Andrea è partito da un Corso Istruttori di due anni fa, ed ora guida, alle porte di Milano (Magenta) una squadra di oltre 20 giovani atleti.
Il carisma non si compra al banco del pesce, e questa capacità comunicativa è risultata vitale durante le giornate del Corso.
Hanno partecipato con lezioni “FOCUS” che trovo onestamente tutte straordinarie e che solo pochissimi anni fa sarebbero state impensabili:  Amerigo Brunetti e il Dott. Francesco Pelizza (entrambi reduci dal recentissimo successo delle date di Firenze, Napoli e Milano del seminario “Ipertrofia 2.0”: per maggiori info cliccare qui. Ndt); Alessio Ferlito (giovanissimo Blogger di culto nel mondo dei sovraccarichi: ”: per maggiori info cliccare qui. Ndt).

Amerigo è uno che farà parlare moltissimo di sé. Le sue intuizioni nell’ambito dell’allenamento dell’ipertrofia sono illuminanti e sconcertano. Nell’ultimo anno solare, tra le persone dalle quali ho imparato qualcosa (direttamente o meno) ci metto pure Amerigo.

Il Dott. Francesco Pelizza sull’alimentazione. Uno dei più begli esempi di atleta nella storia del Powerlifting Italiano. Non posso aggiungere altro perché sarei di parte. Il webbaro Alessio Ferlito, che ha fatto uno splendido focus sulle alzate complementari ed ausiliari e che sta preparando un interessantissimo seminario con Gianluca Pisano ad Ovada (“Welcome To The Powerlifts”, domenica 8 Giugno presso il Centro VITAL CLUB di Ovada (AL): per maggiori info cliccare qui. Ndt).

Come sarebbe possibile non ricordare tutti quelli che hanno aiutato nella parte pratica?
Per essere docenti AIF non basta aver preso un diploma. Per essere ritenuti idonei a questo compito, perché la FIPL ti ritenga idoneo, occorre un percorso di formazione personale lungo, lunghissimo. Ed in più talento. Capacità di comprensione e rielaborazione. Cosa che questo gruppo ha da vendere.

Riccardo Rollo è incredibilmente bravo nell’insegnare alle persone. Forza (quella che conta, quella caratteriale) e personalità. Ormai coi social network si fa presto ad informarsi: chiedete a chi ha lavorato con lui, chi è stato nel suo gruppo. Tra i 133 iscritti, qualcuno probabilmente lo conoscerete. Chiedete a loro!
Hanno aiutato anche il Consigliere Federale Riccardo Magi, l’atleta di calibro internazionale Simone Carniel, Luigi Flacone, Mario Porta, e tutti i docenti sopracitati.

Oltre a questo, abbiamo deciso di affidare le giornate Advanced a tre tecnici che proponessero tre idee di allenamento. Veramente contrastanti tra loro, però con dei punti in comune. John Broz e Mike Tuchscherer hanno dato prova del loro carisma e della loro professionalità e competenza, uscendo “adorati” dal pubblico presente. Non dimentico l’intervento di altissimo livello del Dott. Fausto Caruana e del Dott. Federico Fontana, a stimolo della tesi secondo la quale la forza sia una qualità legata a fattori complessi e di imprinting corticale. Non dimentico nemmeno l’intervento del nostro amato super Presidente FIPL Sandro Rossi, che riuscirebbe a farsi amare anche parlando di chiavi inglesi in una conferenza sulle piante ornamentali. Grazie Pres. La stima che hai raccolto in questi anni non è casuale.
Siamo sembrati un gruppo davvero coeso. Siamo sembrati quello che alla fine siamo.

Anche l’esame è stata una crescita.
C’è da dire che avevamo avuto il sentore che il gruppo di quest’anno fosse in assoluto il più avanzato e preparato della storia dei nostri Corsi. Questo, va detto, anche merito della dottrina Crossfit, che è stato un passo avanti per chi viene dal mondo del fitness. Anche e soprattutto culturale. Piaccia o meno, difetti o meno.

Infatti la parte teorica dell’esame ha visto un solo rimandato e pochissimi esami al limite degli errori possibili. Lo scorso anno erano stati molti di più: questo certifica che gli iscritti erano tutti soggetti molto preparati e con curriculum didattici assolutamente di prestigio.

Però abbiamo richiesto alle persone (almeno per il titolo Expert/Advanced) una preparazione pratica, un occhio alle alzate, che onestamente vada oltre un “ottimo” livello fitness. Siamo voluti andare oltre alla competenza commerciale.
Il nostro Corso sta tra il fitness (perché non lo si può negare) e l’agonismo. Anzi, tra il fitness, l’agonismo e la ricerca. Perché molte delle idee che avete sentito sono concetti piuttosto d’avanguardia e che si saldano nell’immaginario comune maggiormente con il passare del tempo.
Ecco dove sono usciti i (relativamente) tanti rimandati. Rimandati perché tutti (si mi sento di dire tutti) hanno dimostrato una ottima preparazione. Solo il campo, a volte, ha fatto difetto. Difetto perché la richiesta è stata altra.

Incontriamo spesso gente con mille titoli, mille certificazioni, buone dosi di competenza, però non sa muovere un bilanciere e men che meno sa correggere chi sta eseguendo una alzata. Quelli che hanno avuto più difficoltà sono quelli che sono saltati direttamente sul carro (per diritti acquisiti) del Corso Advanced. Mancava spesso la capacità di vedere le alzate, di sistemare i soggetti, di capire cosa effettivamente non andava. Mancava quel lavoro di Base, che poi base, non è.

Ogni tanto qualcuno mi ha detto: non voglio venire al Base, quelle cose ormai le so! Ecco, il Corso Base di quest’anno è stato così eccellente e chiarificatore da essere davvero un peccato bypassarlo.
Il “campo” fa la differenza tra un esperto di forza e uno che ha letto un libro. Leggere un libro di anatomia o di chimica è piuttosto facile. Mettere in spinta un soggetto, meno. Ci vuole pratica. Come dico spesso: sono i chilometri nelle gambe a fare la differenza.

Questa linea di demarcazione sarà sempre di più il taglio, il plusvalore, che vorremmo dare al bellissimo “scherzo” che è diventata questa realtà.
Il mondo della forza in Italia è in crescita verticale. Lo dicevo in una recente intervista su un sito di Strongman che mi hanno fatto.
C’è interesse e passione. Non abbiamo una grande qualità genetica di fondo, però abbiamo una capacità raziocinante e di comprensione che non ha molto da invidiare agli altri.

Grazie a tutti della passione e dell’attenta presenza. Grazie a tutti i diplomati e pure ai rimandati. In ogni caso, spero e credo che vi sentiate a casa vostra, nella grande famiglia FIPL.

Ora tocca anche a voi!

Per questo vi aspettiamo al Festival del Fitness di Rimini Wellness dal 30 maggio al 2 giugno 2014 (sito dedicato: cliccare qui), in uno stand piuttosto “corsaro” con gli amici di Strongfirst: un’isola della forza e del bilanciere, un evento al quale non potevamo (seppur con impegno e sacrifici) mancare!

FALEEV 2.0: DA INFREQUENTE A FREQUENTISSIMO!

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a cura di Alessio Ferlito


Il metodo di allenamento proposto da Alexander Faleev è decisamente uno di quelli che mi piace di più, semplice e lineare! (Non a caso, il primo articolo in cui ne parlavo lo avevo intitolato proprio così!…).

Per chi non conoscesse il metodo in questione, un breve sunto. La programmazione si basa su una approccio molto elementare, così divisa:

> Lunedì: Squat – schema
> Martedì: Panca – schema
> Mercoledì: Stacco – schema
> Giovedì: Squat – tecnica
> Venerdì: Panca – tecnica

Il giorno dello “schema” si deve eseguire un 5×8, partendo da un ipotetico 60%, aumentando di seduta in seduta il carico utilizzato solo quando non si riesce a completare con successo il set/rep proposto e passando ad un 5×7 (poi 5×6 e infine 5×5), solo quando non si è più capaci di chiudere il suddetto per un numero eccessivo di sedute (in generale suggerisco 3). La seduta tecnica è di mantenimento, si esegue un 4×4 con il 60% del peso principale.

La versione di Pavel

Pavel Tsatsouline ha proposto una versione alternativa di questo schema, forse più famosa dell’originale, tanto che se qualcuno avesse Googlato qualche anno fa avrebbe trovato solo questa. La versione di Pavel non è molto distante, ma ha un approccio che voglio citare perché riguarderà poi la “mia” versione del programma.
Mantendo lo schema settimanale proposto da Faleev, Tsatsouline consiglia un approccio basato su un 5×5 e su un 5×4 con l’80% del peso usato il giorno dello “schema” come giornata tecnica. Leggermente più voluminoso e pesante il giorno tecnico, ma l’idea è quella. Si tratta solo di numeri.

Faleev 2.0

Salta all’occhio sicuramente una cosa: il Faleev è un metodo decisamente infrequente. Se è un approccio che consiglio senza pensarci più di tanto ad un non agonista che può allenarsi poco, o magari spesso, ma con limiti di tempo, come si fa a rendere questa versione più interessante per chi può allenarsi di più e vuole qualcosa di più frequente? L’idea che mi è venuta altro non fa che racchiudere in una settimana quello che faremmo in due.

Mi spiego, ecco la mia proposta per un Faleev frequentissimo!

Lunedì
> Squat – Schema
> Panca – Schema

Martedì
> Squat – Tecnica sul carico di lunedì
> Stacco – Schema
> Panca – Tecnica  sul carico di lunedì

Giovedì
> Squat – Schema
> Panca – Schema

Venerdì
> Squat – Tecnica sul carico di giovedì
> Stacco – Tecnica sul carico di martedì
> Panca – Tecnica  sul carico di giovedì

Facendo così abbiamo raddoppiato ogni alzata.

Il lunedì è la giornata classica dello “schema”, manteniamo su Squat e panca l’approccio classico di Faleev partendo dal 5×8.

Il martedì è la giornata invece dedicata allo schema dello stacco e alla tecnica di Squat e panca. Ho deciso di inserire lo squat come primo esercizio perché, come saprà chi ha letto il breve capitolo che ho scritto per Ado Gruzza nel suo libro “Il Metodo Distribuito”, considero lo Squat un esercizio basilare per ogni seduta. In questo caso poi il volume e le % di approccio sono talmente basse da permettere di tenerlo senza problemi, tanto da essere un vero e proprio riscaldamento allo stacco.

Per quanto riguarda questa alzata consiglio l’approccio di Tsatsouline, per due motivi:

  1. 8 ripetizioni nello stacco sono tante… veramente tante. Troppe. Cardio!
  2. Lo stacco in questo schema è l’alzata che si allena meno, quindi ci andrei più pesante (seppure sia un pesante relativo, ovviamente).

Per quanto riguarda la panca e lo Squat invece consiglio un “mix” dei due metodi:

  • giornata schema: 5×8 classico;
  • giornata tecnica: 6x4x80% del peso utilizzato il giorno dello schema.

La giornata tecnica in molti casi, specie nella panca, rischia di essere veramente leggera. Questo non è necessariamente un male, ma per rendere la seduta più interessante possiamo utilizzare qualche variante di panca, a me piaceva eseguire la panca con una presa più stretta e con i piedi sulla panca, in modo da lavorare  di più sul settaggio delle scapole e sul migliorare la posizione del petto. Nulla vieta di stare sulla classica panca.

Quando aumento il carico?

Dato che l’ho spiegato un po’ di fretta, ritorniamo sullo schema di Faleev. Partendo dal 5×8 e aumentando di seduta in seduta fino a che riusciamo, qualora cominciassimo ad essere al limite, Faleev non suggerisce di chiudere il 5×8 scalando il peso, bensì di diminuire le ripetizioni, trovandosi magari a chiudere un 3×8 – 7 – 6.

Arriverà un momento in cui non si potrà più chiudere un 5×8, sarà allora il momento di passare ad un 5×7, seguendo le stesse logiche, per passare poi ad un 5×6 e infine ad un 5×5.

Come fare con il 5×5 nello stacco? Stesso approccio, passando per un 5×4 e un 5×3. Questo non credo venisse suggerito da Tsatsouline, ma la ritengo un’ottima scelta.

Per quanto riguarda invece l’aumento di peso, suggerisco di aumentare il peso sul bilanciere dopo almeno 3 sedute, quindi, potenzialmente, ogni settimana e mezzo.

Complementari

Faleev, così come poi Tsatsouline, suggerisce di non utilizzare complementari. Io mi sento un po’ più alternativo e mi sento di proporre qualche lavoro ausiliario da fare a fine seduta. Fermo restando che quasi sempre, idea rubata dalle schede di Wolf che si trovano in rete, consiglio di cominciare la seduta con addominali e iperestensioni, a fine delle sedute possiamo trovare qualcosa da fare.

Il giorno A-C, quello di soli squat e panca, possiamo sicuramente introdurre un lavoro per la schiena. Io suggerisco sempre trazioni, quasi per partito preso, ma anche rematori, facepull o qualsiasi complementare per dorsali o alta schiena vanno benissimo. Se vogliamo mettere anche un esercizio per le braccia facciamo qualcosa per i bicipiti e via.

Il giorno B-D è forse più complicato inserire qualcosa, ma suggerirei un leggero complementare per la panca. Un esercizio a scelta tra panca inclinata 45° con manubri (ultimamente ho molto rivalutato questo esercizio, magari in isocinetica), dip alle parallele o lento avanti va benissimo. Ovviamente, a parte nel lento avanti, dove ritengo la scelta più facoltativa, su dip e panca inclinata non spingete troppo. Se vogliamo dare dei numeri, un approccio stile max-75-50 lo trovo ottimale per le dip e nelle dip un bel “pendolo” con i manubri.

In generale ultimamente trovo molto più sensato rubare tempo ai complementari per dedicarsi a stretching e all’uso del foam roller, perciò i complementari potete farli, ma non li ritengo essenziali.

ENTER THE POWERLIFTS: K4B KETTLEBELLS FOR BARBELL

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© 2014: foto by Luca Anzalone Photography – grafica by Valerio Treviso

Clicca sull’immagine per scaricare la locandina in formato Pdf

 

RELATORIAdo GRUZZA e Fabio ZONIN

QUANDO: Sabato 5 e Domenica 6 Luglio 2014Ore: 09.30/18.00

DOVE: AVOLA (Siracusa)Terminal Fitness Boccaccio
Piazza Regina Margherita, 50 (lato Stazione Ferroviaria di Avola) – Tel: 0931 1931651

EVENTO FACEBOOK: presto online…

INFO: PurePower Academy: info@purepower.info - 348 0819331

 

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

 

> Le Powerlifts: lo Squat, la Panca Piana e lo Stacco da Terra.
> Gli esercizi con il Kettlebell per l’attivazione del core ed il transfer positivo sulle Powerlifts.
> La mobilità articolare per le Powerlifts.
> Le alzate con bilanciere e i Kettlebell: il Military Press.

Verrà rilasciato Attestato di partecipazione

 

COSTO:

—> euro 190,00 – pagamento a mezzo Bonifico Bancario anticipato alle seguenti coordinate:

Pure Power Snc
Banca Alto Vicentino Credito Cooperativo S.C.R.L
IBAN: IT 67 C 08669 11800 011000943812

—> euro 220,00 – pagamento in contanti sul posto

Sconto 20% per:

—> Istruttori SFG (di ogni livello)
—> Istruttori FIPL (di ogni livello)
—> Gruppi di almeno 5 persone

 

Dopo aver effettuato il versamento fornire i dati completi del partecipante cliccando qui

GLI SPORT COL BILANCIERE: TEORIA E TECNICA DEI FONDAMENTALI DI GARA

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a cura del Dott. Donato Formicola

Foto per gentile concessione dell’autore – ©2014 AIF /FIPL

Venerdì 6 Giugno 2014, presso il Box Crossfit LaMole di Torino, il Dott. Donato Formicola, docente a contratto presso la SUISM di Torino, ha organizzato, come parte di un progetto accademico didattico speciale, un workshop sul tema “Gli Sport col Bilanciere: Teoria e Tecnica dei Fondamentali di Gara”. Presente Ado Gruzza che, in rappresentanza dell’AIF – Accademia Italiana della Forza e della FIPL – Federazione Italiana di PowerLifting, ha condotto la lezione con il Dott. Donato Formicola.

Queste le impressioni che il Dott. Donato Formicola ha voluto “fissare su carta”:

“L’esperienza di venerdì 6 Giugno è stata per me veramente emozionante: aspettavo l’arrivo di Ado in sede del corso con ansia, sperando di avergli dato le giuste indicazioni stradali.

La volontà di introdurre una serie di progetti didattici speciali a forte carattere professionalizzante come questo (la SUISM ne ha presentati ben 14 in quest’anno accademico), è stata ripagata con soddisfazione, dato l’elevato livello di interesse che hanno mostrato gli studenti coinvolti attivamente.

Nel mio progetto didattico speciale “Gli Sport col Bilanciere – Fondamentali Tecnici e di Gara”, era necessario (indispensabile) che figure istituzionali del panorama agonistico e formativo nazionale come la FIPL (Federazione Italiana Powerlifting) e l’AIF (Accademia Italiana del Forza) venissero convocate per una loro diretta partecipazione.
Dopo la personale conoscenza di Ado Gruzza (Direttore Tecnico della Squadra Giovanile FIPL e Responsabile della Formazione AIF), maturata in diverse occasioni dove le sue prestazioni professionali sono state – che per quanto mi riguarda oserei dire – “illuminanti”, la scelta dell’invito a condurre la lezione universitaria doveva ricadere su di Lui.
Ho ritenuto che gli studenti avessero dovuto toccare con mano questa nuova “forma razionale di tecnica sportiva” applicata al bilanciere, che usa il retaggio culturale sull’allenamento della forza per costruire innovative logiche efficaci indirizzate al miglioramento della prestazione sportiva.
I futuri specialisti dell’allenamento sportivo non possono ignorare l’esistenza di un personaggio come Ado, in grado di rompere gli schemi delle tradizioni senza tempo che contaminano lo sport moderno e lo limitano a storiche prestazioni attraverso l’uso della logica razionale.

Sapevo di poter contare su Valerio Treviso per portare a conclusione questa partecipazione. Costui, direttore amministrativo dell’AIF, è impegnato costantemente a studiare una forma di collaborazione tra gli emergenti professionisti che, rispettando i labili equilibri tra le istituzioni rappresentanti (a volte migrati nelle nuove generazioni di professionisti da ancestrali attriti scatenati per ragioni che non hanno più motivo di esistere), rinnovi la cultura nazionale dello sport nel settore della forza. Valerio è l’orologiaio svizzero che con pazienza, passione e sapiente premura, continua a oliare l’ingranaggio principale che permette di far girare con centesimale precisione la macchina divulgatrice e promozionale dell’AIF. Valerio ed Ado hanno saputo accettare il mio invito, anche di fronte ai mille impegni. Valerio ed Ado sono miei amici e me lo hanno dimostrato.

Erano circa le 09.30 del mattino; la calda giornata di Venerdì 6 Giugno era appena iniziata nel traffico mattutino delle tangenziali torinesi. Gli studenti interessati al corso continuavano a giungere con la calma caratteristica del mondo accademico (chi non conosce l’insana abitudine de “il quarto d’ora accademico”?).

Ado irrompe nel vuoto parcheggio del Crossfit LaMole, sul controviale della zona dei velox di corso Canonico Giuseppe Allamano di Grugliasco (Torino). Esce dall’auto col volto di chi si sveglia all’alba e corre per ore in autostrada. Ha uno scatolone sotto il braccio. Ha visibilmente caldo. Ha l’occhio incuriosito, la postura disinvolta. Ha fretta di vedere il laboratorio didattico (il Crossfit LaMole ha messo a disposizione i suoi locali e le sue attrezzature per permettere la realizzazione di questo progetto). L’ambiente gli è familiare, non può essere altrimenti: una decina di ritti per mantenere sollevati i bilancieri, altrettante pedane per effettuare le alzate olimpiche, una ventina di bilancieri olimpionici e mezza tonnellata di piastre di carico. Oltre agli studenti, Luca Casciello, il direttore tecnico del Crossfit LaMole, e l’attuale Campione Nazionale di Distensione su Panca FIPE Davide Diberti, mi hanno aiutato a fargli gli onori di casa.

Dopo un veloce caffè sotto al portico di un bar a conduzione familiare del borgo di Grugliasco, la lezione è iniziata nel silenzio tipico delle aule universitarie.

Foto per gentile concessione dell’autore – ©2014 AIF /FIPL

Nessuna presentazione in powerpoint, nessuna tecnologia di supporto didattico, la sua totale padronanza della materia lo rende capace di catturare l’attenzione di un’intera platea di gente con una mistura di contrasti tra la semplice esplicazione dei suoi concetti e la complessa articolazione della sua gestualità. Vedere Ado fare il professore davanti ad una lavagna è come vedere un animale feroce in cattività: cerca di costruire una serie di costrutti e asserzioni per descrivere alla classe che cos’è il powerlifting, ma non resiste al suo richiamo naturale di avvicinarsi ai bilancieri. Imposta gli stativi all’altezza delle spalle, chiede assistenza per posizionare un bilanciere e caricalo fino a 40 kg. I ragazzi lo seguono incuriositi e si dispongono ai lati dell’attrezzo, lasciandogli un ampio spazio di movimento, capiscono subito che ha bisogno di muoversi per riuscire a descrivere meglio la sua creativa interpretazione della tecnica dell’accosciata. Il forte accento emiliano non si sente più tra quelle frasi che portano verità laddove il percorso accademico ha lasciato lacune. Lo sapevo che non avrebbe resistito a lungo in quel ruolo, e attendevo la sua tipica reazione di pro-attività.

In men che non si dica gli studenti si sono ritrovati a piegare le articolazioni delle loro gambe in modo a loro inusuale, sotto i carichi crescenti di uno squat di alto livello tecnico. Hanno sofferto e sudato maneggiando semplicemente le barre di acciaio senza piastre, si sono sbalorditi di poter avvertire la propriocezione dei processi di cocontrazione muscolare agonista-antagonista degli arti inferiori che impediscono alle loro schiene di partecipare allo schema motorio dell’accosciata in modo attivo, curvandosi per limitare il controllo della reazione vincolare della spinta degli arti inferiori alle sole strutture miofasciali senza l’intervento di alcuno degli elementi attivi costituenti le catene muscolari estensorie.

La partecipazione attiva degli studenti è stata totale. Dopo pochi minuti l’allenamento è divenuto studio pratico, i loro sguardi sono diventati profondi e si è percepito “a pelle” la formazione di nuovi pensieri nelle loro menti: il miracolo della didattica si è compiuto di nuovo, la conoscenza è stata trasferita ed il suo compito pedagogico è stato assolto. Ado è appagato dal suo intervento dimostrativo, ma viene travolto dalle domande degli studenti. Ritorna alla lavagna per abbozzare programmi di allenamento densi di conoscenza senza mostrare l’estensione della sua vasta cultura specifica: non cita i suoi autori preferiti (Sheiko, Prilepin, Abadjev, ecc) ma i segni neri lasciati dal suo pennarello sulla bianca lavagna sintetica li mostrano tutti. Scorre velocemente il breve tempo della sua disponibilità. Gli ultimi venti minuti di lezione con Ado hanno dato alla classe una conoscenza pratica che nessun corso universitario è mai stato in grado di fornire loro. Ancora domande che forse non dovevano ricevere risposta in quella sede e ho capito che un mio intervento poteva riportare gli argomenti al tema della giornata: così come nello spettacolo teatrale la spalla supporta la star della serata senza prenderne il ruolo principale, ho discusso rapidamente sulle questioni sollevate con alcune referenze scientifiche citate a lezione e ho riorganizzato il termine della lezione. Alla fine del mio inciso, ho aperto lo scatolone che Ado non ricordava più di aver portato e le poche copie del suo libro sono scomparse in pochi secondi tra le mani degli studenti affamati di conoscenza pratica. Ado ha capito subito le mie intenzioni e si è apprestato a formulare le conclusioni.

Era circa l’una quando Ado stava tardando a partire per rispondere ai suoi innumerevoli impegni. L’ho accompagnato velocemente alla macchina, ringraziandolo con la personale soddisfazione di aver ripagato completamente le mie aspettative. I ragazzi l’hanno visto andar via in piedi sul piazzale, l’avrebbero voluto tutto per loro ancora per un po’…

Grazie Ado e Valerio, di aver garantito l’essenza di tale progetto didattico speciale: l’esperienza pratica che si avvicina al mondo accademico. Piacere di aver fatto la Vostra conoscenza.

Con amicizia,
Donato Formicola, PhD.”

 

NOTE SULL’AUTORE

Dott. Donato Formicola, PhD – Laureato con Lode, Merito e Dignità di Stampa in “Tecniche Avanzate dello Sport e dell’Allenamento”. Dottorato di Ricerca in “Sistemi Complessi in Medicina e Scienza della Vita”, indirizzo Fisiopatologia. Assegnista Ricercatore CRSM. Menzione Speciale premio Ricerca Applicata allo Sport CONI. Allenatore CONI IV Livello Europeo. Maestro di Pesistica. Allenatore III Livello FIPE. Allenatore II Livello FIPL. Direttore Tecnico del Centro Federale FIPE di Alta Specializzazione, Preparazione Olimpica, Formazione e Ricerca VALLE SAN NICOLAO (BI). Responsabile Formazione FIPE Piemonte. Area Tecnica Scuola Nazionale FIPE. Docente FIPE. Docente SANIS. Docente a contratto SUISM.

ON 147 – IL POWER BODYBUILDER

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a cura di Ado Gruzza

Credo, senza timore di sbagliare di molto, che la gran parte dei lettori di questa rivista siano quello che noi del settore chiamiamo Power-Bodybuilder.

Cos’è un Power-Bodybuilder? Un soggetto che non si definisce un bodybuilder in senso stretto (quello del palcoscenico per intenderci) e allo stesso tempo non è un powerilfter, in senso stretto, che altri non è se non chi gareggia in maniera continuativa in una disciplina dove si testa la prestazione in Squat, Panca piana e Stacco da terra, simultaneamente.

Il Power-Bodybuilder di solito è appassionato di pesi, cerca un fisico forte e appariscente, e la via che preferisce per ottenerlo è quella sudata e polverosa della ghisa. I Power-Bodybuilder si allenano molto spesso mal volentieri nelle moderne palestre commerciali, ed in alcuni casi preferiscono rintanarsi nei propri garage o scantinati, con un solido Rack, un buon bilanciere e tanti dischi di ghisa poggiati qua e là tra la lavatrice (della mamma per i più giovani) e qualche cianfrusaglia dispensata in qualche modo.

L’evoluzione della conoscenza del Power-Bodybuilder in questi anni è stata vertiginosa: se pensiamo alla tipologia dell’allenamento dell’utente medio di 20 anni o anche solo 10 anni fa rispetto a quello che vediamo ora, beh, non c’è confronto. Molto più lavoro fondamentale, molta più attenzione a muscoli apparentemente ‘invisibili’ come quelli del core, e a mio grande piacere, molta più attenzione all’allenamento della forza, che tanto più nei natural, si sta rivelando sempre di più la chiave per una crescita stabile e granitica

Continua su Olympian’s News n° 147 (Luglio/Agosto 2014)

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UNIVERSITÀ, FIRENZE, LA NOIA E LA THATCHER

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a cura di Ado Gruzza

©2014 foto by Chris Beckett

Firenze, rispetto a Parma, sembra un altro pianeta. Panorama, vegetazione. Una parlata completamente differente, senza entrare nel merito della cucina. Tanto bravi, però nell’arte casearia non c’è proprio storia. Parma ha qualche eccellenza dove è proprio ineguagliabile. Verdi, Toscanini, il powerlifting, eccetera, eccetera…

A parte gli scherzi, succede che ti metti in macchina e tempo di fare due chiacchiere sei già arrivato.
Praticamente ce l’hai sotto casa questa fantastica città di Firenze. Gente che prende tre aerei per venirla a vedere, e io ce l’ho a due ore di autostrada!

Per una promessa abbozzata mesi prima, mi sono imbarcato – come sempre controvoglia – in questo progetto, che alla fine si è rivelato piacevolissimo. Controvoglia perché, quando arriva il sabato, ho voglia di stare a casa a farmi i miei fatti, e non certo di mettermi in macchina in giro per l’Italia, come spesso mi tocca fare.
Mi ‘tocca’: non che sia costretto da chissà quale dovere o altro, semplicemente è che quando metti in pista (praticamente per gioco) una realtà, poi, istintivamente, ti muovi in modo che questa sia sempre più rigogliosa e forte. La cosa sta pure riuscendo; però a spese del mio tempo libero, non incredibilmente ridotto al quasi-nulla.
Senza dimenticare che sono davvero un pessimo viaggiatore.

T_LAB
Cristiano Fallai, proprietario della palestra T_Lab di Firenze, personaggio molto conosciuto nel mondo del funzionale, mi ha invitato per una giornata specifica sulle Powerlifts, nel suo centro.
Succede poi che, per puro piacere personale, si aggrega pure Amerigo Brunetti, rivelatosi un’assistenza quasi indispensabile.
Arriviamo giusto giusto alle 10.00, e neanche il tempo di guardarmi attorno… Inizio con la lezione.
Prezzo più elevato e periodo estivo non hanno impedito di raggiungere con largo anticipo il numero massimo di partecipanti. E questo fa sempre piacere.
C’è interesse sul Powerlifting! Tantissimo interesse, da parte di gente che non c’è nemmeno vicino al pensare di fare una gara! Se ve lo avessero detto dieci anni fa, beh, avreste riso in faccia a questa affermazione, vero?

La logica della giornata era quella di riuscire a guardare negli occhi i presenti, riuscire a dare correzioni e consigli ad personam, chiamare la gente per nome ed avere maniera di capire quelle che fossero le loro reali problematiche nell’imprimere forza al bilanciere.

Tutte le volte che faccio un seminario tecnico imparo un sacco di cose. Credo che Amerigo mi abbia accompagnato proprio perché ha intuito questo. Non è una minchiosa frase fatta, credetemi!
Non ci riesco a dire questo tipo di banalità, neanche volendo. Fare seminari e coaching nel verso in cui lo facciamo noi, beh, ti insegna tantissimo! Oggi riesco a mettere in spinta soggetti che non sono atleti esperti  (i presenti ne sono stati testimoni) in pochissimi secondi. Una dritta e l’esecuzione da nero assoluto diventa bianco. Questa è solamente l’esperienza di centinaia di persone corrette ai vari Corsi FIPL. Bottino impagabile, e che non si può avere altrimenti.

Amerigo è la persona più curiosa e intuitiva che abbia mai (MAI) conosciuto nel mondo dell’allenamento. E credetemi, quelli validi li ho conosciuti quasi tutti. Evidentemente ha capito che insegnando negli ambienti più disparati si impara a capire cosa serve ad un soggetto. A sistemarlo in tempi record, a dar lui gli spunti che faranno tutta la differenza del mondo tra successo ed insuccesso. Saggiamente ha colto l’occasione.

Cosa ho imparato? Anzi, cosa abbiamo imparato?
Innanzitutto abbiamo avuto la fortuna di trovare soggetti che avevano letto roba sul PL e roba sulla tecnica. Letto tanto, erano attenti e curiosi. E questo ci ha favorito, in una maniera però contraria a quello che potreste aspettarvi.
Costoro avevano letto di tecnica ed erano convinti di curare la tecnica in ogni allenamento. Il risultato erano alzate rigide e forzatissime, non efficienti, fossilizzate su due concetti e piuttosto distanti da quella che è la reale problematica che può incontrare un soggetto che si butta sulle Powerlifts. Perché come dicevo, non c’è alternativa all’esperienza sul campo.

L’eterno dilemma tra teoria e pratica. La teoria della tecnica la devono scrivere i tecnici, ed i tecnici sono i primi ad essere piuttosto riluttanti nel farlo, a causa degli enormi fraintendimenti che si possono generare.
Altra cosa, non si deve in nessuna maniera confondere tecnica con impostazione. L’impostazione è una questione estremamente semplice e basilare. Il set up, per intenderci.
La tecnica inizia dall’impostazione di base, non finisce lì!

Abbiamo notato relazione quasi diretta tra l’attenzione a particolari ‘teorici’ e la mancanza di una pratica ottimale. Era evidente, in molti, quel processo che chiamiamo overthinking. E cioè: prendi un concetto teorico e ti focalizzi su quello, esasperandolo all’ennesima potenza. Nel fare la panca piana, ad esempio, sapere che bisogna addurre le scapole perché la testa dell’omero e bla, bla, bla, non rappresenta nemmeno un quinto delle cose davvero importanti che si devono tenere in considerazione durante l’esecuzione.
Altra cosa è il non darsi delle scuse come ad esempio ‘io tengo i gomiti larghi perché nel 1988 ho preso freddo al gomito destro’ oppure ‘uso questa stance perché ho i femorali corti’. Eccetera, eccetera…
Se sei rigido: SCIOGLITI! Non prendere una esecuzione schifosa per bypassare i tuoi limiti!

Insomma, quando si parla di tecnica, non fermatevi alla superficie, perché quello che si sente dire è solo una minima parte di quello che davvero conta.

©2014 foto by Cristiano Fallai - I partecipanti al workshop tenuto dal coach Ado Gruzza in T-Lab

La pratica, signori miei, rappresenta la cosa più complicata e quella in cui il mondo della forza è in assoluto più carente. Per quel che mi riguarda, rappresenta la cosa che mi ha richiesto (e mi sta richiedendo) più tempo di dedizione e studio. Studio vero!
E pensare che di solito viene data per scontata. Oppure la si cita (questa famosa tecnica) per non restare indietro, visto che tutti, ora, ne parlano.

Il lato positivo della medaglia è che, di norma, chi legge molto ed è attento magari fa uno squat del menga perché ci pensa troppo, però ha il cervello pronto e sveglio, volenteroso e capace di recepire. E questo è quello che è successo anche a Firenze!

Se non riesci a mettere energia sul bilanciere non cresci.  Questo rappresenta un concetto e non una scuola di pensiero. Trovare la chiave di attivazione di un soggetto, riuscire a donargli quelle sensazioni che non ha mai avuto e donargli una prospettiva di crescita che era assolutamente interdetta è la sola cosa che conta. Un fatto che trova costante riscontro nella pratica quotidiana, e in soggetti che fondano la loro esperienza nei campi più disparati.

Credo che siamo riusciti a dare ai presenti il segno di quanto tutte le nostre ‘chiacchiere’ sulla tecnica non siano parole a vanvera. Al contrario, concretissima concretezza per raggiungere il proprio potenziale.

Certo che – starete pensando – se leggere, informarsi, provare a sviluppare le cose studiate nel proprio power rack non basta… Beh, cosa dobbiamo fare? Avere un coach dietro il culo ogni giorno? Impossibile!

E qui arriviamo al punto ed al nocciolo della questione che un pubblico evoluto ed attento (come quello che ci legge), dovrebbe prendere in considerazione.

Mai come in questi giorni mi sono accorto della distanza siderale tra il pianeta Fitness (che ci è piovuto addosso in tutto il suo splendore a Rimini), e quello che siamo Noi. E con Noi non parlo unicamente di AIF come entità che organizza corsi, quanto di tutta la realtà che gira attorno al mondo agonistico del powerlifting, e posso immaginare pure di tutti gli altri sport minori che gli assomigliano.
Noi; cioè io e chiunque abbia avuto il piacere e l’onere di dire due parole ad un evento AIF, o che scrive di suo pugno su Forza Mag (gruppo di Facebook per appassionati di Forza). Noi, dicevo, non vogliamo farvi ciucciare nulla che non sia quello che esattamente pensiamo si avvicini al massimo della verità conoscibile.

Per questo non vogliamo darvi ricette, darvi prodotti, darvi meccanismi. Anzi, vi diciamo che quello che proponiamo è DIFFICILISSIMO e che ci vogliono anni di rotture di coglioni per arrivare a QUEL livello di controllo e di forza autentica.
Abbiamo intuito un paio di cose che stanno avendo risultati notevolissimi e ve le proponiamo. Stop.

Ho tenuto, la settimana precedente presso l’Università di Torino una lezione, spinto dall’amico e Prof. Donato Formicola. Alla conclusione del mio solito mare di parole e gesticolazioni ho fatto provare ad uno degli studenti, un ragazzone decisamente sveglio, la panca piana. Con le regole tecniche che gli imponevo io.
Dopo 3 ripetizioni con 40 kg mi sono rivolto a lui, dicendo:

“HAI CAPITO QUANTO È DIFFICILE?”

E lui, con lo sguardo di uno che ha capito davvero mi ha risposto: “Sì, porca puttana, davvero è difficile farla bene!”
Allora – ho risposto io – se hai capito quanto è complicato hai già un vantaggio di competenza enorme rispetto ai tuoi colleghi.
Capire come sviluppare un movimento multiarticolare sotto carico è difficile, complicato, articolato, non banale, raffinato e intellettivo come qualunque scienza umana.

Mi sono trovato in questo 2014 circondato di collaboratori STRAORDINARI. Abbiamo allevato una nidiata di giovani tecnici davvero stratosferica, per qualità umane e intellettive in primis, poi per conoscenze specifiche. Davvero una grande vittoria aver scommesso su queste persone. Tantissimi, troppi forse per essere citati: Contenta, Rollo, Pisano, Magnaghi, Fontana, Brunetti, Pelizza, senza dimenticare i Buccioni, Ferlito, lo stesso Caruana che una volta all’anno ci onora letteralmente della sua presenza. Se mi dimentico qualcuno, chiedo venia.
Non tutti i docenti AIF che fanno la parte teorica hanno accesso alla docenza della parte pratica, e non tutti quelli che fanno la parte pratica hanno titolo per tenere lezioni in classe. Perché la pratica è un’arte che va coltivata, una sapienza che va nutrita. A caso si fanno solo le cose a caso. Provate, in quest’ultima frase, a sostituire la parola ‘caso’ con un termine dalla forte assonanza ma che sta ad indicare il membro maschile. Vedrete che la frase renderà ancora di più.

La nicchia (che poi è molto grossa pure la nicchia a prenderla tutta, anche grazie al Crossfit) e solo questa è il nostro posto. Non c’è altro. Facciamo roba difficile e di nicchia. Però divertente, che funziona e molto sugosa. Lo facciamo per gioco e NON PER MESTIERE. E pure questo, conta parecchio.
Il successo, l’essere riconosciuti e stimati ci premia moltissimo e nessuno nega che questo riconoscimento sia stato ricercato negli anni e lo sarà anche in futuro.
Ricercato però non al costo di rompersi le palle o doversi bere delle minchiate tremende.
E la Thatcher? Beh, il senso mitico del rigore e del dovere di fare quello che è giusto fare, anche quando la vulgata va dall’altra parte. Con il risultato di risollevare l’economia di un paese in crisi nera.

Poche stronzate, per favore, e diamoci da fare. C’è un mondo di scoperte che ci aspetta, dove AIF è il riferimento assoluto.

WESTERN EUROPEAN OPEN CHAMPIONSHIPS 2014

14° COPPA ITALIA A SQUADRE DI POWERLIFTING

VIS, ROBORIS

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PRIMA DAL MUSCOLO AL SISTEMA (MOVIMENTO).
POI DAL SISTEMA ALL’ATTIVAZIONE.

 

a cura di Amerigo Brunetti


COME mi muovo?
COME sollevo?
E soprattutto,
COME genero energia?


Ormai è noto come il lavoro fatto in questi anni, insieme al confronto tra tanti soggetti differenti, abbia portato a un assunto: abbiamo chiaramente ed esplicitamente spostato l’attenzione dal singolo muscolo al complesso dell’alzata (quindi al sistema intero), e successivamente dall’alzata a qualcosa che sta ancora più a monte: la maturazione di qualità universalmente spendibili. Quelle che amiamo chiamare, semplificando un poco, attivazione.

Entriamo quindi nel mondo dei COME, abbandonando – solo apparentemente – la realtà del QUANTO.

Una macchina da 800cv che spalanca il gas improvvisamente su un terreno dissestato non accelera: slitta.
D’altro canto, una Ferrari che parte in 5° marcia avrà bisogno di un tempo lunghissimo per raggiungere la velocità massima, sempre che non si spenga al rilascio della frizione.
Se io ho bisogno di energia di pronto utilizzo, come capita nel 90% degli sport, ci vuole altro.

Parallelamente, si pensi a una mischia. Avere più cavalli nel proprio motore rappresenta certamente un buon vantaggio. Ma più cavalli insieme a tacchetti giusti e terreno favorevole possono mettere definitivamente la partita nelle nostre mani.

E’ oggi possibile influenzare pesantemente la capacità di generare forza in contesti sport-specifici, attraverso un sapiente utilizzo del bilancere.
Come?
Maturando l’abilità di “accendersi” improvvisamente: stimolare elettricamente le fibre ad accelerare un carico importante, in maniera bruciante ma ordinata, significa dinamismo. Esplosività.
Una stilettata precisa e puntuale, piuttosto che una palla demolitrice lenta e pesante che tira giù tutta la casa, oltre al bersaglio stesso.

On-off, 0-100 a comando. E’ questa la qualità che vogliamo durante una situazione di gioco!

Per praticità, prendiamo in esame lo stacco da terra: l’alzata che più di ogni altra si presta a espressioni brutali di forza. In questo esercizio si assiste spesso all’invenzione di stratagemmi che poco hanno a che vedere con l’intenso lavoro neuromuscolare.
Dai, se guardiamo chi stacca 200kg, con tutta probabilità vedremo un’alzata lenta, legnosa o “strappata” dal suolo, un tirone iniziale che palesa un’incapacità di generare alti impulsi in maniera continua. Oppure vedremo soggetti pesanti, corpulenti.
Grossi, insomma.

Grandi masse e abilità specifiche consentono a molti atleti di compiere prestazioni indubbiamente superiori alla media, ma poco valide al di fuori del loro contesto.
Masse muscolari efficaci nella loro inerzia piuttosto che nella loro capacità di generare vettori forza incisivi.
Abilità specifiche come schiacciarsi sotto a un peso senza soccombere, spostando la tensione su tendini o legamenti.
Lenta agonia, alzate dal dinamismo di un novantenne che si alza dal letto, facce deformate da uno sforzo che prende il sopravvento sulle nostre capacità: questa forza è forse buona (purché entro il regolamento) per una gara di Powerlifting.
Però, quanto questa forza è spendibile?

Qui sotto un’alzata che evidenzia quanto appena esposto. Il soggetto ci dice: “sulla carta sono ‘forte’, ma so fare solo quello”.

Credo che molti pregiudizi sui pesi siano nati perché fino a ieri non si sapeva dove guardare. Guardo quelli che si allenano con i pesi, mediamente vedo degli obbrobri motori e allora mi faccio l’idea che i pesi portino a quello. E’ normale, ci sono caduto anch’io in passato.

Per fortuna oggi funziona diverso.

Ecco appunto l’esempio assoluto di una straordinaria capacità di attivazione.

Da qui si capisce bene come nel 2014 l’idea di “powerlifting = forza lenta” sia pura leggenda. Diamo un occhio.

E’ lampante: pur non entrando nel merito della “tecnica”  ci si accorge dell’abissale differenza. Chi genera più forza? Chi desiderereste avere in squadra, a formare la linea che contrasta gli avversari che avanzano?

Uno è fortarello di stacco e riesce momentaneamente a non frantumarsi la schiena, l’altro scarica 1000cv a terra nel giro di un nanosecondo, preciso e immediato al primo schiocco di dita. Domande retoriche, quindi.

Altra situazione:

Quando “strappiamo”, diamo gas solo nel primo pezzo. Sì, ok, una bella sgasata. E con i pesi piccoli – piccoli rispetto al nostro potenziale – funziona. Ma poi ci si pianta.
Dubito fortemente che questo sia quanto cerchiamo.
Forza è accelerare un peso da inizio a fine movimento, niente a che vedere con un colpo di mortaio che esaurisce il suo effetto dopo i primi 5cm di traiettoria.

Ecco, il modo in cui scarichiamo i nostri cavalli a terra e la velocità con cui raggiungiamo il picco di produzione di forza credo siano DETERMINANTI nella prestazione atletica. Di qualsiasi natura essa sia.

Fortuna vuole che oggi si sappia come ottenere questo.

Molti anni fa l’ambiente accademico cercò di dimostrare come vi fosse un limite di forza oltre al quale il cosiddetto transfert prestazionale su altre attività fosse minimo. Nessuno di questi studi teneva in considerazione la qualità del movimento.
Ricordiamo sempre: ogni ricerca sul movimento umano che prescinda dal MODO in cui il gesto è compiuto è priva di valore.

Era (ERA perché fortunatamente oggi ci si è parzialmente scollati da tali considerazioni) per l’appunto noto tra i lanciatori come, raggiunti i 250kg di massimale nella panca piana, l’atleta non potesse più trarre vantaggio dall’incremento del carico in quest’esercizio. Ovvio: lo avevano verificato sperimentalmente, ma a che prezzo aumentava il massimale? Rimbalzi assurdi sul petto, torsioni del busto, alzate lente, legnose. Spalle anteposte nel disperato tentativo di chiudere la ripetizione.
Ma chissenefrega del carico! A cosa mi serve aumentare puramente i kg sul bilancere, se il mio obbiettivo è rendere più veloce o esplosiva un’azione del tutto differente?

Il carico, in una sensata visione della preparazione atletica con i pesi, è semplicemente una resistenza che mi permette di migliorare determinate qualità.

Paradossalmente, anche nel powerlfitng – oggi – è così. In maniera assolutamente anti-intuitiva, il powerlifting che leggete qui su AIF non è powerlifting: è allenamento della forza applicato ad esso. E’ bruciante attività neuromuscolare spendibile in qualsiasi contesto.

E proprio questo lo rende interessante: le nozioni, le logiche possono essere trasportate in altri ambiti, estendendosi a ogni settore in cui reattività e potenza siano un fondamento.

Esiste un modo molto efficace di allenarsi. Allenarsi e soprattutto allenare.

Due brevissimi appunti, per chiudere:

  • un particolare spazio meriterebbe lo studio dell’uso di attrezzatura specifica del powerlifting, come corpetti, maglie da panca e fasce per le ginocchia. Questo perché l’utilizzo di tale equipment costringe l’atleta a diventare più reattivo in determinati punti, rendendo davvero interessante l’alzata e la sua analisi. Senza dimenticare i vantaggi meccanici e di attivazione regalatici dalla compressione muscolare durante la contrazione. Temi ampiamente discussi nei seminari dedicati, per chi volesse approfondire.
  • L’allenamento della forza che propone AIF è personalissimo, ed assoluta elaborazione dei suoi tecnici. Difficilmente avrete letto in precedenza di un approccio simile al nostro. Esso è frutto di produzione ex novo di tecniche, di un innovativo modo di vedere il sollevamento pesi, è frutto di viaggi e confronti con notevolissimi personaggi del presente e del passato. E’ fusione di mentalità differenti che lavorano con la stessa convinzione,  rivisitazione di pre-esistenti approcci dalla confermata efficacia (si parte sempre da qualcosa, d’altronde…).

Come molti sanno, il mio percorso parte dal mondo del bodybuilding. Quasi non credo ai risultati che sto avendo oggi, andando a cercare – o meglio, aiutando a far trovare – quest’attivazione lavorando coi miei allievi.
Concordo al 100% con chi ha detto che il deficit di crescita muscolare sta spesso in un deficit di attivazione, nel natural.

Per raggiungere questo status non basta pensare di ‘fare forza’ o prendere in mano programmi simil-powerlifting.

Il ‘come fare’ diventa La potente chiave di tutto.

Sumo4Conventional & Conventional4Sumo

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a cura di Antonio Contenta

 

E’ un dilemma ricorrente nel mondo del Powerlifting, appassionati ed agonisti: che relazione c’è tra uno stile di stacco e l’altro, quando e quanto serve variare? Se ne sono lette di tutti i colori, da un estremo all’altro, dai westsider più integralisti al purista del gesto gara oltre i limiti del razionale.

Io non mi sono mai posto il problema in modo diretto più di tanto. Poi in una delle telefonate di aggiornamento sull’asse Roma-Parma abbiamo parlato per caso di cosa stavo portando avanti  con alcuni ragazzi, e da qui nasce l’idea di condividere questo punto di vista, offrendo una chiave di lettura alla questione credo – e spero – interessante.

 

Foto per gentile concessione di dlabphotography.com. Tutti i diritti riservati.

 

Parto dalla fine, che poi è un partire dalla fine relativo perché ricalca esattamente lo sviluppo sul campo che ha caratterizzato questo approccio.

Ho osservato che tecnicamente la principale problematica connessa allo stacco da terra sia in sostanza propriocettiva (fortunatamente non ho scoperto l’America per qualcuno): la percezione di sé, del proprio corpo e del proprio corpo rispetto al bilanciere. Sì, messa così è semplice, ma poi nella pratica è molto meno semplice. Quante volte si percepisce una cosa, ero dritto-ero gobbo, poi in video se ne vede completamente un’altra?

A livello di programmazione, invece, la particolarità dello stacco da terra risiede nel fatto che c’è bisogno di variare gli stimoli, in particolare all’aumentare della frequenza degli allenamenti e soprattutto al crescere della qualifica dell’atleta.
Le varianti nello stacco da terra, come sapete, farciscono le programmazioni praticamente di tutte le più grandi scuole esistenti di allenamento della forza dall’Europa dell’Est agli Stati Uniti, passando per il Nord-Europa.
Le ragioni sono molteplici e non certo banali, motivo per cui non ho intenzione di mettermi ad elencarle in modo freddo e probabilmente superficiale.

Per chi vuole capire tutto e bene dall’inizio ci sono fior di corsi, letture e articoli a disposizione, voglio spostarmi su cosa scegliere, in che momento e proporre quale idea. Niente “pappa pronta”, la schedina magica di 4 settimane, perché quella non esiste, chi vi vende la pappa pronta vi sta fregando, perché nel Powerlifting ancora più che nello strength-training, può funzionare una cosa e anche il suo contrario. E’ trovare il filo logico che serve davvero, ed è anche parecchio difficile.

Ma torniamo a noi…
Atleti di livelli distanti, con alcune differenze, tendono nel tempo a sviluppare sbavature nel movimento per percezioni alterate del proprio corpo o ricerca di sensazioni non ideali e quasi mai per particolari  scompensi muscolari. Vorrei chiarire un punto a cui tengo in particolare, che nonostante le tante precisazioni non sembra digerito da tutti; non si parla di tecnica “da Facebook” fine a se stessa, ma di tecnica vera: quella che può farti arrivare primo o terzo, quinto o decimo, a un Campionato Italiano a parità di forma fisica. Non la tecnica per essere belli in foto, ma l’altra. Quella difficile insomma.

Caso vuole che anche io stesso come atleta sia deficitario nello stacco da terra e questo mi ha portato davvero a, come si dice, sbatterci la testa per bene. A provare, riprovare e rielaborare molte cose diverse. Le conferme di alcune osservazioni, ironia della sorte, alla fine mi sono arrivate da atleti decisamente più bravi di me.

 

Conventional4Sumo

E’ assodato che la corretta percezione dei piedi a terra e l’ attivazione delle gambe che ne scaturisce è un aspetto che tende a essere problematico e forse anche sottovalutato nello stacco sumo, credo anche per la maggior attenzione che si è portati a dare (nei casi migliori) ad altro.

L’appoggio dei piedi molto spostato all’esterno vi ricorda qualcosa? (Qui qualcuno inizia ad annuire…)
Partendo da questa osservazione, trovo che su atleti che praticano lo stacco Sumo, Lo stacco Classico TECNICO – con la logica dell’STT, vedi:  http://www.rawtraining.eu/metodi-e-programmazione/stacco-da-terra-tecnico-la-guida/  -  possa rinfrescare certe sensazioni. Sensazioni che potrebbero essere man mano sfumate nella pratica continua e costante del Sumo.
L’avere i piedi ben piatti e piantati a terra sotto di noi ricostruisce a livello propriocettivo le giuste sensazioni di spinta e di appoggio. Stare al centro del piede, cercare un appoggio uniforme dove applicare forza sono fattori più immediati nello stacco classico. Vi stupirete di quanti sumisti wanna-be-perfect si ritroveranno degli stacchi convenzionali niente male. Provate nel posizionamento in allenamento a poggiare un piedi alla volta, ben piatto, e a tenerlo lì, sentirete la differenza.

 

Spesso la ricerca dell’esterno del piede compensa un’anca poco mobile o un atteggiamento delle ginocchia chiuso, il Sumo richiede senza molta democrazia un buon livello di mobilità articolare, non possiamo raccontarcela in altri modi.

Essendo però un’alzata particolarmente tecnica, non deve subire interferenze; di recupero, in particolare. Per cui intensità, volume e distribuzione della seduta di stacco classico all’interno del microciclo andranno davvero valutate bene, e se avete molti dubbi non andateci leggeri: andateci leggerissimi.

Certamente una componente muscolare legata agli angoli articolari diversi e al ROM più elevato ci sarà pure, non voglio essere astratto a tutti i costi, ma sono abbastanza sicuro che non sia quello il nocciolo della questione perché spesso, anche e soprattutto a % relativamente basse, l’alternanza di stili fa il suo dovere.
Anche i feedback degli atleti sono stati legati ad aspetti più percettivi che prettamente muscolari.

 

Sumo4Conventional

Generalmente chi tira convenzionale a buon livello ha un decisa spinta dei piedi a terra e una schiena forte. Anche in ambito agonistico, dove si vedono anche stacchi del tutto singolari, la costante è che “quelli bravi” tengono il bilanciere molto in linea rispetto al proprio baricentro avvicinando il più possibile la linea del bilanciere proprio all’anca. Lo stacco Sumo che ha come chiave di volta la vicinanza dell’anca al bilanciere è quanto mai utile ad “insegnare” all’atleta la ricerca di questo movimento sempre verso il bilanciere e mai ad allontanarsi dallo stesso.

Il Sumo, come e forse più del convenzionale, risulta essere propedeutico per la maggior difficoltà e quindi il maggior impegno di controllo del corpo che viene richiesto all’atleta.

Ovviamente lo stacco Sumo è un’ alzata particolarmente fine che non si improvvisa, ma già un’esecuzione discreta in cui l’atleta si forza nell’appiccicarsi al bilanciere può fare il suo dovere anche per il “classicista” più dotato e che ha l’alzata nel dna. Figuriamoci quanto possa esserlo ad un atleta normale o quanto possa esserlo addirittura ad un principiante.

Attenzione che non passi il “va-bene-tutto”, perché qui non è davvero quella parrocchia: a uno staccatore classico molto bravo, soprattutto se agonista, è concesso di non investire ore e ore di allenamenti cercando la linea perfetta nel Sumo (anche se in off-season sarebbe un’idea), ma magari il discreto che si intende da queste parti – che potrebbe essere già un ottimo-sumo a un livello fitness – potrebbe rappresentare la soluzione nel trovare feeling e soluzioni migliori nell’alzata di gara.

 

Other Variations

Lo stacco Sumo wide-stance con i piedi portati alla massima ampiezza, nel caso di atleti che praticano un Sumo ad una stance più ridotta (tibie in zona dei ring) o addirttura mezzo-sumo, vincola l’atleta ad utilizzare e gestire in una situazione “scomoda” il lower body. Modulando opportunamente l’intensità, questa variante, oltre a predisporre ad una buona gestione del bacino in tirata, impegna l’atleta maggiormente da un punto di vista coordinativo in quanto la salita sinergica di anca e spalle risulterà più complicata e anche il coinvolgimento delle gambe sarà amplificato.

Ho trovato particolarmente efficace questa variante da utilizzare nella seduta immediatamente precedente a quella principale di stacco.

 

7WEEKS4SUMO

Settimana 1 / 2 / 3

 

Lunedì

Stacco Sumo wide-stance 5x2serie + 3x3serie

**dal 40 al 60%, utilizzare massimo 2 carichi diversi

 

Mercoledì

Stacco Sumo

**gesto gara – secondo programma utilizzato

 

Venerdì

Stacco Classico (STT) con 4” di fermo in incastro in leggera trazione 5x3serie

**dal 40 al 55% a carico fisso, partire molto leggeri

 

Settimana 4  (scarico)

Nessuno stacco complementare.

 

Settimana 5 / 6 / 7

 

Lunedì

Stacco Sumo fino al ginocchio con pausa di 2” sotto la rotula 5x2serie + 3x3serie

**dal 40 al 60%, utilizzare massimo 2 carichi diversi

 

Mercoledì

Stacco Sumo

**gesto gara – secondo programma utilizzato

 

Venerdì

Stacco Classico (STT) 40% 3, 50% 3, 55% 2 poi 1MAV

**1 MAV molto qualitativo ricercando la miglior spinta possibile dei piedi, per i più esperti è possibile aggiungere elastici o catene cercando una ancora maggiore accelerazione tenendo l’assetto.

 

Note:

- nella prima seduta (lunedì) dare priorità assoluta al movimento e al controllo, 60% è il limite massimo e non un vincolo. In questo caso il carico davvero non è rilevante, conta solo il controllo. Potete fare tranquillamente 40% 5x2serie e 45% 3x3s tutte e tre le settimane se è il caso.

- nella seduta del venerdì delle prime 3 settimane, attenzione massima su piedi in spinta e attivazione del core. La fatica – con il fermo attivo – non mancherà. Tenere il movimento per 5 ripetizioni è la sfida del giorno: non il carico. Tenere il collo quanto più in linea con la colonna in posizione fisiologica.

- nella seduta del venerdì delle ultime tre settimane non cerchiamo per forza carichi importanti, il gioco è tenere le buone sensazioni costruite prima, calare all’osso il volume e imparare ad accelerare con i piedi tenendo la linea solida costruita precedentemente.

Nel mezzo (mercoledì) scegliete una progressione o qualsiasi programma possibile che vi metta in condizione di migliorare tecnicamente.

 

FOCUS

Di seguito 3 settimane di programmazione (pescate a caso), che si rifanno a questa logica.

E’ un programma cucito addosso all’atleta, non spendibile fuori contesto. Ma credo possa essere interessante per chiudere un po’ il cerchio sull’argomento. Le % anche del Convenzionale sono tutte sul best di gara, in questo caso Sumo.

Periodo Preparatorio – Campionato Italiano Fipl 2014

Settimana 2di12

 

Lunedì

Panca Piana

Squat

Panca Piana

Complemenatari

 

Martedì

Stacco Sumo wide-stance 45% 5x2s, 55% 3x3s

Forza generale

Mobilità

 

Mercoledì

Stacco Sumo deficit  40% 5, 50% 3x2s, 60% 2x4s

Panca Piana

Stacco Sumo (gaered)  50% 3, 60% 3, 70% 2x2s, 80% 1,3,1,3,1,3

Complementari

 

Venerdi

Squat

Panca Piana

Squat

Complemenatri

 

Sabato

Stacco Convenzionale con elastici in deloading (-15% da terra) 1 MAV

Complementari

Mobilità

 

Settimana 3di12

 

Lunedì

Squat

Panca Piana

Squat

Complementari

 

Martedì

Stacco Sumo wide-stance 45% 5x2s, 55% 3x3s

Forza generale

Mobilità

 

Mercoledì

Stacco Sumo deficit fino al ginocchio  40% 3x2s, 50% 3x2s, 60% 2x4s

Panca Piana

Stacco Sumo (gaered)  45% 5, 55% 3, 65% 3, 75% 3x2s, 85% 2x3s

Complementari

 

Venerdì

Squat

Panca

Complementari

 

Sabato

Stacco Convenzionale dai blocchi 50% 3, 60% 3, 70% 3, 80% 3x2s, 85% 2x2s

Complementari

Mobilità

 

Settimana 4di12

 

Lunedì

Squat

Panca piana

Squat

Complementari

 

Martedì

Stacco Sumo wide-stance  45% 5x2s, 55% 3x2s, 60% 2×2

Forza generale

Mobilità

 

Mercoledì

Stacco Sumo fino al ginocchio  45% 3x2s, 55% 3x2s, 65% 2x3s

Panca piana

Stacco Sumo (geared)  50% 3, 60% 3, 70% 3, 80% 3x4s

Complementari

 

Venerdì

Squat

Panca

Squat

Complementari

 

Sabato

Stacco Convenzionale con elastici in deloading (-10% da terra) 50% 3, 60% 3, 70% 3x2s, 80% 3x2s, 90% 1x3s

Complementari

Mobilità

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